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Rai, per gli italiani è meglio la "rossissima" La7. Il sondaggio inchioda Viale Mazzini: questo è servizio pubblico o un regime?

Francesco Specchia
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La stima vale più della celebrità, la considerazione più della rinomanza, l'affidabilità più dell'ascolto, avrebbe detto lo scrittore Nicholas de Chamfort se, nel 700, avesse avuto la tivù in camera. La notizia non è che il 67% degli italiani si fida della Rai, ma che nell'autorevolissimo ultimo rapporto Digital News Report 2021 del Reuters Institute sull'autorevolezza dei mass media italici riportato da True Numbers, l'attuale Rai pentastellata viene sistematicamente battuta da Ansa (2% di fiducia nella testata), SkyTg24 (76%), il Sole24 Ore (74%), TgLa7 (69%), Corriere della sera e perfino dalle testate locali (68%). Per carità, Mediaset (61%) va peggio della Rai, ma lì, almeno, noialtri non paghiamo il canone. E, ripetiamo, qui non si parla di audience ma di autorevolezza dell'offerta delle news. Ora, nella pandemia, si è verificato un fenomeno bizzarro per noi operatori del settore. La fiducia nelle notizie da parte degli italiani è cresciuta in modo spropositato: da una media del 6% è arrivata al 44%. Nell'inversione di tendenza che ha visto il crollo di credibilità degli influencers e del giornalismo -fai-da- te, il pubblico ha dunque finito per rifugiarsi nella credibilità dell'informazione professionale; sia che si tratti d'informazione fruita attraverso gli smartphone (68%), che dai pc (43%) o con la carta stampata (18%). Il fatto che, però, in questo rinnovato clima di affidabilità giornalistica, l'autentico servizio pubblico sia accreditato principalmente alle televisioni private e non a Viale Mazzini, be', lascia leggermente spiazzati.

 

 

 

Fiducia nelle news

La gente avrebbe poca fiducia nella trasparenza della Rai: per il popolo, la prima informazione davvero "affidabile" della tv di Stato risulta la Rai News di Andrea Vianello, a metà classifica. La hit Reuters stranizza, tanto più oggi che la Rai è saldamente nelle mani del plenipotenziario Fabrizio Salini, amministratore delegato di area Movimento Cinque Stelle. Salini doveva essere il deciso conducator del cambiamento nel palazzo di vetro, e il templare del nuovo piano industriale; ma si è fermato a metà del guado, sempre distratto dall'affanno di essere avvicendato da un momento all'altro. Era solo il 2013, quando il M5S protestava vibratamente di fronte alla portineria di viale Mazzini, adunato sotto gli zoccoli del Cavallo morente al grido di «fuori i partiti e le lobby dalla Rai!». C'era tutto lo spirito del rinnovamento, in quel flash mob che voleva appiccare la rivoluzione e aprire l'adulterato sistema radiotelevisivo pubblico come una scatoletta di tonno secondo il ben definito schema grillino dell'«onestà, parità e meritocrazia»: liberté, égalité, fraternité col Beppe Grillo che si stagliava all'orizzonte come Robespierre. Per carità, è tradizione che in Rai siano lottizzate anche le macchinette del caffè. E che la politica decida ancora le nomine. E che ci siano collaboratori esterni che guadagnano più di Mattarella. Non è una gran novità, qui, la trasversalità politica della raccomandazione oggi elegantemente chiamato «spoil system» ma applicato con i nostri soldi. Semmai, la novità vera sta nel fatto che siano i Savonarola dei 5 Stelle ad essersi perfettamente adeguati ai meccanismi antichi. Il renzianissimo membro della commissione Vigilanza Michele Anzaldi aveva già denunciato «l'incredibile difesa da parte del M5S dei partiti e delle lobby arrivando a difendere la lottizzazione dei telegiornali, a difendere le palesi violazione del pluralismo pur di tutelare i vertici imposti». E continuava: «Che il potere abbia cambiato i cinque stelle è sotto gli occhi di tutti e in qualche modo era inevitabile, che però si arrivi in questo modo a sconfessare completamente i cinque anni di battaglie portate avanti in commissione di Vigilanza dal presidente Fico è davvero un caso da studiare». L'andazzo, sotto il M5S, è stato il solito. C'era stato il caso del direttore del Tg1 Giuseppe Carboni, piovuto dal cielo grillino a sbaragliare la concorrenza. O di Claudia Mazzola redattrice ordinaria promossa in un lampo ben quattro volte da caporedattore fino a direttore dell'ufficio studi (laddove, in Rai, i direttori nullafacenti si stratificano) . O di Pierluigi Colantoni vicino al M5S, ottimo cantante addetto agli spot aziendali a cui è affidata l'intera Direzione Formati. E c'è, appunto, Salini, un passo avanti, uno indietro, uno di lato nella straordinaria rumba editoriale ballata al settimo piano.

Viva la rumba 

Ora, il popolo italiano, pur non conoscendo i dettagli del potere, possiede un intuito straordinario. Ha percepito che la Rai dei Cinque Stelle è uguale alle precedenti e probabilmente alle successive. Né peggiore né migliore, solo uguale. Però, allora, è ovvio che poi uno si butta su Sky...

 

 

 

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