Emanuele Salamone, esperto di advocacy: Mes, burocrazia e ruolo geopolitico dell'Italia
Si parla molto di “advocacy” ultimamente, soprattutto da quando il nostro governo incontra nuove difficoltà nel gestire le emergenze e le riforme da avviare al più presto. Ma cosa si intende, anzitutto, per advocacy?
Poniamo la domanda al dr. Emanuele Salamone, esperto del settore e coinvolto in particolare in public & government affairs, relazioni istituzionali, marketing politico.
“Advocacy” è il termine che sempre più va a sostituirsi al termine ormai obsoleto di “lobby”, un aspetto importante e propositivo del mondo che circonda la politica, finalmente accettato anche in Italia, dove negli anni passati era molto male interpretato: sembrava riferirsi a fenomeni di interesse privato o addirittura agli abusi dei cosiddetti “faccendieri”. Ma in tutto il mondo non è così. Anzi i parlamentari degli Stati Uniti, o i membri della Commissione Europea, basano proprio sull’interazione con le lobbies il successo del loro operato, perché i suggerimenti e le istanze che provengono dal mondo reale permettono di ottimizzare i contenuti delle normative deliberate.
Quindi, dr. Salamone, il suo impegno economico-politico può essere definito come azione di advocacy?
Sì, questo è il ruolo che meglio descrive il mio impegno nel mettere in contatto le aziende italiane e l’ambiente della politica, sia in Italia, sia all’estero, con l’intento di suggerire e promuovere nel modo più lecito e trasparente soluzioni legislative o emendamenti in grado di rendere l’azione di governo sempre più efficace e mirata a risolvere le reali esigenze della società civile.
Del resto sono spesso coinvolto nei tavoli di lavoro più influenti, sia come libero professionista, sia in veste di vice-presidente di varie associazioni. Inoltre sono spesso cooptato all’interno di CDA o Board di aziende proprio con l’intento di agire in modo esplicitamente collaborativo con gli uomini politici più preparati, utilizzando dati ed argomentazioni assolutamente fondati e verificabili.
Vista allora questa sua capacità di interpretare in modo costruttivo le problematiche che il nostro governo deve affrontare, che cosa ne pensa di uno dei temi più controversi del momento, il MES?
Mes o non Mes? Nel governo non è ancora chiaro come utilizzare questi soldi: se non sbaglio pochi giorni fa Pietro Senaldi sosteneva che Forza Italia sarebbe favorevole all'approvazione del Meccanismo Europeo Salva Stati, avvicinandosi così alle posizioni del PD, mentre contemporaneamente temeva che accettando questa proposta Conte si sarebbe fatto fregare e invece di avere aiuti dall’Ue avrebbe solo ottenuto altri prestiti. La realtà si è poi rivelata meglio delle previsioni, ma intendo dire che anche i commentatori più attenti trovano motivazioni contrastanti per accettare o rifiutare le offerte dell’Unione Europea.
Il mio punto di vista, occupandomi di advocacy, è che sia fondamentale in situazioni come questa valutare soprattutto i benefici immediati che le aziende italiane ne trarrebbero. Si tratta da sempre di adottare una linea decisa, ma soprattutto concreta. Capisco che gli equilibri politici si basino spesso sul mantenimento di posizioni rigide, ma oggi questo non farebbe bene al Paese.
Si tratta piuttosto di agire in fretta per superare ostacoli che da tempo impediscono all’economia italiana di dare il meglio di sé. Mi riferisco in particolare ai ritardi che la burocrazia riesce a creare in ogni settore.
Pensa che il tema della burocrazia da snellire sia prioritario in questi giorni?
Proprio nell’intervista rilasciata a Libero pochi giorni fa, Massimo Cacciari ha sottolineato i danni che la gestione assolutamente burocratica e statalista del governo ha creato, provocando ulteriori difficoltà di rapporto con le regioni.
La burocrazia va combattuta al più presto, sotto ogni forma e manifestazione.
Ma forse non è la macchina burocratica in se stessa a impedire il rilancio dell’economia, ma un fatto ancor più specifico. Dobbiamo iniziare a pensare che non ci troviamo di fronte a una burocrazia astratta, contraria alle semplificazioni, ma che è la politica che non riesce a decidere come procedere. Qui il ruolo dell’advocacy diventa fondamentale, portando dei contributi fattivi e documentati a chi deve agire.
L’Italia è un Paese dove esiste un numero abnorme di authority e un sistema di regole e sanzioni non definito. In questa situazione prevale la logica del controllo. E così ad esempio ogni pur minima innovazione finisce in un labirinto normativo dal quale non si riesce a uscire. Con la crisi scatenata dalla pandemia questa situazione non può più continuare. Speriamo che il decreto semplificazioni possa portare una ventata di aria fresca, ma se il governo non ascolta le vere istanze del mondo dell’industria e del lavoro, i risultati saranno deludenti.
Quali altri aspetti ritiene importanti nell’agenda politica di agosto?
Anzitutto la questione del G20 di cui a rotazione l’Italia nel 2021 avrà la presidenza. Durante l’ultimo meeting virtuale i partecipanti hanno sottolineato che le prospettive economiche, dopo la pandemia di coronavirus, sono "incerte e soggette ad elevati rischi al ribasso". Una mia prima riflessione, per quello che ho percepito, è che la politica stia in questi giorni decidendo quale sia il taglio da privilegiare: se finance, il che quindi porterebbe con sé tutte le tematiche economiche, o digital, quindi molto legato all’innovazione. Per l’importanza storica del momento la nostra presidenza contribuirebbe profondamente al rilancio del ruolo dell’Italia nella politica internazionale.
Un altro aspetto che mi sembra importante affrontare subito dopo l’estate potrebbe essere quello della clausola “golden power” che lo Stato intende applicare su alcuni asset strategici. Ma attendiamo di vedere qualche dettaglio in più per valutarne la portata.
Dr. Salamone, dove si svolge prevalentemente la sua attività?
I miei impegni mi portano a operare tra Milano e Roma, tenendo fede al mio impegno di mettere sempre al primo posto nel mio lavoro l’interazione tra economia reale e mondo della politica. Una parte consistente del mio lavoro, oltre che ad aziende italiane, è rivolta anche alle multinazionali, quindi mi trovate spesso anche a Bruxelles e fino a pochi mesi fa, dati i miei incarichi, anche in costruttivi meetings negli Stati Uniti. L’advocacy è un tema molto delicato e richiede continui contatti: fortunatamente esistono le call internazionali, ma quando si parla di sfumature, non consentono di raggiungere gli stessi risultati, meglio incontrarsi di persona. Ma riprenderemo presto a viaggiare, sono ottimista.
Quale futuro vede per i rapporti fra Stati Uniti e Italia?
La crisi ha investito fortemente anche gli Stati Uniti, dove si stanno affrontando severe sfide: l’aumento della disoccupazione, l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali, e non solo. Questo però non modifica la centralità dei rapporti transatlantici. Anzi, risulta importante, per una ripresa organica strutturata, rendere nuovamente evidente il ruolo geopolitico dell’Italia. Certo è che, essendo noi all’interno dell’Unione europea, i meccanismi di equilibrio tra i vari Stati membri assumono oggi una rilevanza cruciale per il futuro dell’Europa.