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Cina, lo tsunami nelle Borse. Paul Krugman: "Bolla globale del risparmio, così cambierà l'economia mondiale"

di Giulio Bucchi domenica 30 agosto 2015

2' di lettura

L'Apocalisse delle Borse cinesi non è la fine del vecchio ordine finanziario, magari quello nato dopo il 2008. Semplicemente, è una nuova tappa nel nuovo ordine a cui dovremo abituarci: quello della "sovrabbondanza infinita" che spinge capitali enormi, inimmaginabili a trovare di volta in volta un'altra valvola di sfogo, determinando cicli di choc e reazioni in cui, come nel lunedì nero, per esempio, si bruciano in poche ore miliardi e miliardi (di euro, di dollari, di yuan). Ne è convinto Paul Krugman, economista Nobel 2008 e guru mondiale ai tempi della crisi.  La "sovrabbondanza di risparmio" - Sul New York Times ripercorre questi anni di brividi e profondi rossi: "Prima c'è stata la bolla immobiliare, che ha innescato la crisi delle banche. Poi, proprio quando il peggio sembrava passato, l'Europa è entrata in una crisi debitoria e in una recessione che di fatto è una double-dip, una doppia recessione. Alla fine l'Europa ha raggiunto una stabilità precaria e ha ripreso a crescere, ma ecco che in Cina e in altri mercati emergenti, che in precedenza consideravamo solidi pilastri, vanno affiorando grossi problemi". La tesi di Krugman si avvicina a quella già esposta dall'ex presidente della Federal Reserve Bern Bernanke, quella di una "global saving glut", una bolla globale di risparmio. Capitali enormi che si sono spostati ora negli Usa, nel settore immobiliare (da lì la bolla dei mutui subprime), e poi dopo la crisi in Europa, sugli Stati deboli ma in presunta crescita (Spagna, Portogallo, Grecia), e negli ultimi due anni nei cosiddetti Brics, gli Stati emergenti diventati il traino dell'economia globale.  "Debolezza globale" - Ora, secondo Krugman, la crisi dei mercati cinesi e i dubbi sulla tenuta politica del Dragone, bloccato sulla strada delle riforme e soprattutto in crisi nell'economia reale prima che nelle Borse, sposteranno quegli stessi capitali di nuovo negli Stati Uniti, in un pendolo che dietro momenti virtuosi (per pochi) nasconde rovesci (per tanti). Invertire questi cicli non è facile: occorre sperare che la produttività salga così come gli investimenti sulle imprese, prima ancora che su titoli di Borsa, immobili o derivati. E soprattutto servirà un taglio all'austerità, che ha ridotto al lumicino gli investimenti pubblici. "Ciò che conta adesso - conclude Krugman - è che i policy-maker prendano sul serio la probabilità che la nuova normalità sia questa: risparmi in eccedenza e debolezza globale persistente". Il guaio è che chi governa il mondo, al momento, sembra ancora convinto che la soluzione non possano che essere "soluzioni apparentemente severe". Ma non è così, "e le cose andranno di male in peggio".

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