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Iva e canone Rai: le tasse più evase

di Matteo Legnani domenica 30 novembre 2014

2' di lettura

La fine dell'anno e l'inizio di quello successivo sono per molte categorie sinonimo di scadenze fiscali (come gli anticipi d'imposta). E il quotidiano La Stampa riporta un dossier nel quale racconta l'identikit dell'evasore fiscale, la distribuzione geografica degli evasori e l'elenco delle tasse più odiate e di conseguenza meno pagate in Italia. Lo fa riprendendo uno studio di Contribuenti.it, secondo il quale i principali evasori in Italia sono gli industriali (32,7%) seguono il settore bancario-assicurativo (32,2%), quindi commercianti (10,8%), artigiani (9,4%), professionisti (7,5%) e lavoratori dipendenti (7,4%). Sono concentrati dove si produce gran parte del reddito nazionale, ovvero soprattutto nel Nord Ovest (31,4% del totale nazionale) e nel Nord Est (27,1%) ed in misura minore al Centro (22,2%) ed al Sud (19,3%). Se si tiene buona la stima di Confcommercio, che colloca l’evasione al 17,4% del nostro prodotto interno, a livello mondiale solo Messico (11,9%) e Spagna (9,5%) riescono a tenerci testa. Nel resto del mondo le tasse invece si pagano: negli Usa l’evasione tocca il 6,7% del Pil, in Francia siamo al 3,9%, Austria, Olanda e Norvegia stanno addirittura all’1%.  Guardando le singole tasse, quella più evasa resta il canone d'abbonamento Rai: secondo le stime del governo ben il 26,5% delle famiglie italiane non paga i 113,50 euro annuali, producendo un ammanco di circa 600 milioni di euro l’anno. Uno studio del 2012 realizzato da Contribuenti.it alzava invece al 40% la quota di famiglie inadempienti, con punte superiori all’80% in Campania, Calabria e Sicilia. Secondo il nuovo direttore dell’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, riportata sempre da La Stampa, "l’evasione è così alta perché io fino a 2 mila euro di debito non posso fare nessuna azione esecutiva. Mando un avviso, e se il contribuente è una persona per bene paga, altrimenti no, e non posso farci niente. Le norme con cui gestiamo il canone sono di un Regio decreto del ‘38, quando la Rai ancora non c’era, e nessuno ha mai voluto cambiarle". Ma gli ammanchi legati al canone Rai sono nulla se paragonati a quelli dovuti al mancato o parziale pagamento dell'Iva: non si emettono (e non si richiedono) gli scontrini fiscali o gli importi battuti sono più bassi di quelli reali (con un buco che uno studio del Nens dell’ex ministro Vincenzo Visco stima in circa 24 miliardi di euro all’anno). E ancora: non si versa l’Iva, o si fatturano i beni ed i servizi con aliquote più basse rispetto a quelle corrette (-6,4 miliardi).

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