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Flat tax, perché converrà licenziarsi: conti in tasca, una pioggia di soldi per i precari

di Giulio Bucchi domenica 26 agosto 2018

3' di lettura

E se i precari fossero contenti di esserlo? In Italia, patria del lavoro pubblico e del posto fisso, l' ipotesi somiglia a una bestemmia. Solo un pazzo rinuncerebbe alle ferie estive, ai giorni di malattia prima del week end, all' assegno che arriva sempre e comunque alla fine di ogni mese, ai cartellini d' ingresso da affidare, in caso di bisogno, ad un volenteroso collega. Poi ci sono i buoni pasto, i permessi, gli scatti automatici di stipendio, gli straordinari. Insomma, una cuccagna. Eppure, l' idea di stracciare il proprio contratto a tempo determinato nei prossimi mesi potrebbe diventare non così bislacca. Anzi, c' è chi già immagina file davanti agli studi dei commercialisti di ex dipendenti pronti ad aprire una partita Iva. A fare la differenza saranno i balzelli. Quelli che il governo ha intenzione di sforbiciare attraverso la flat tax. Considerati i pochi soldi a disposizione e la robusta fetta di gettito che un' aliquota fissa dell' Irpef si porterebbe via, la fase iniziale dell' annunciata rivoluzione fiscale dovrebbe partire dagli autonomi. Primo passo - Il primo passo sarà, con tutta probabilità, quello già messo nero su bianco in una proposta di legge presentata dalla Lega: estensione del regime forfettario del 15% per tutte le partite Iva fino a 100mila euro di reddito annuo (oggi il tetto è tra i 30mila e i 50mila). A completare il quadro dovrebbe esserci una deduzione dei costi, anch' essa forfettaria, pari al 22% dell' imponibile. Messa così, potrebbe sembrare un semplice ritocco di una norma già esistente, studiata per semplificare la vita ai giovani professionisti e ai piccoli imprenditori nella fase di avvio. In realtà, l' innalzamento della soglia di reddito aumenterà a dismisura la potenza competitiva del regime fiscale agevolato per gli autonomi. Qui non si parla più di lavoretti, di assunzioni stagionali, di prestazioni occasionali. Includendo i redditi fino a 100mila euro l' anno, il confronto tra i due tipi di tassazione si sposta inevitabilmente su situazioni lavorative solide e ben retribuite. Meno tasse - In questo contesto, chi si mette in proprio perderà una serie di garanzie tipiche del posto fisso, ma guadagnerà fino a 25mila euro l' anno di imposte non pagate. Secondo i calcoli effettuati dal commercialista Giuliano Mandolesi sul sito Startmag.it, su 100mila euro erogati attraverso un contratto di lavoro ci sono 36.170 euro di tasse da pagare (escluse le addizionali locali), mentre la stessa cifra realizzata da un professionista genererebbe imposte per 11.700 euro. La convenienza riguarderebbe tutte le fasce di reddito medie. L' aliquota media Irpef tra i 28 e i 55mila euro è infatti oggi del 21,4%, quella tra i 55 e i 75mila del 27,4% e quella oltre i 75mila del 33,2%. Il risparmio oscillerebbe dal 6,4 al 18,2%. Tali somme compenserebbero ampiamente i giorni di ferie, quelli di malattia e gli altri benefici del contratto. E lascerebbero anche dei soldi in tasca per l' assicurazione sanitaria o il fondo pensione integrativo. La riforma, sulla carta, aggiungerebbe circa 550mila partite Iva alle 935mila che già utilizzano il regime agevolato. Ma gli effetti potrebbero essere ben più ampi. Come ha spiegato il tributarista Dario Stevanato, l' incentivo alla trasformazione di redditi da lavoro in redditi di impresa sarebbe «fortissimo» e ci sarebbe una vera e propria «corsa all' apertura di partite Iva». Il che significa non solo meno tasse, ma anche meno sommerso, meno scartoffie, meno disoccupazione e meno sindacati. Vi sembra poco? di Sandro Iacometti

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