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Agenzia delle Entrate, gli agenti del Fisco farabutti: ricatto agli evasori per poi tenersi i soldi

di Davide Locano domenica 23 settembre 2018

3' di lettura

E se prima di combattere gli evasori ci occupassimo degli ispettori? Da anni, con cadenza periodica, ci cospargiamo il capo di cenere per il deprecabile vizio italico di nascondere i soldi al fisco, ci raccontiamo la storiella del “pagare tutti pagare meno”, discettiamo sulla impossibilità di abbassare le tasse se prima non staniamo i furbetti che si fanno beffe delle leggi. Nel frattempo, all’Agenzia delle entrate (da circa un mese guidata dal generale della Finanza, Antonino Maggiore) i funzionari infedeli continuano a spuntare come funghi. Il recente caso di Cosenza, dove un agente del fisco intascava dai contribuenti 300 euro a pratica, è solo l’ultimo di una serie che si è talmente allungata da non consentire più di liquidare il fenomeno prendendosela con le solite mele marce. Certo, i farabutti sono ovunque. Ma se in tre anni alle Entrate hanno pizzicato 822 impiegati con le mani nel sacco significa che di marcio non ci sono solo le mele, ma l’intero sistema. IL SANGUE SI GELA Avete presente quando vi arriva una raccomandata del fisco? Il sangue si gela nelle vene. Non importa quanto sicuri siate di aver pagato fino all’ultimo centesimo, di aver seguito meticolosamente anche la più piccola regola. Il sospetto che qualcosa possa spuntare c’è sempre. E spesso accade proprio così. Un po’ perché le continue modifiche normative hanno creato una giungla di adempimenti (circa 90 per le piccole imprese) quasi impossibile da rispettare, un po’ perché il fisco, non di rado, ti accusa senza motivo. Basta guardare i dati del contenzioso per avere un’idea. Nel 2017 l’Agenzia delle entrate ha avuto ragione davanti alle commissione tributarie provinciali solo il 46% delle volte. Davanti a quelle provinciale ancora meno: il 42%. Errori che non scoraggiano gli ispettori, anzi. In pochi anni il numero di accertamenti analitici e parziali, di controlli incrociati o eseguiti per strada, di accessi in azienda, di verifiche o di comunicazioni spedite per posta dalle Entrate è più che raddoppiato, passando dai 786mila del 2015 agli 1,6 milioni del 2017. E’ in questo scenario, con i contribuenti (specie quelli più piccoli e più indifesi) in balia di tagliole spietate e incomprensibili, che si crea quella che alcuni chiamano la «logica estorsiva». Leggi anche: Fisco, l'ultimo regalo di Marchionne alla Ferrari LOGICA ESTORSIVA Un fenomeno alimentato e incoraggiato non dalla cattiveria umana, ma da cattive leggi. «Negli ultimi 15 anni», ha spiegato qualche tempo fa Enrico Zanetti, che qualcosa di fisco, da ex viceministro dell’Economia e da commercialista, ne capisce, «si sono create in Italia le condizioni per la tempesta perfetta». Da una parte, secondo Zanetti, c’è il «perverso» strumento dell’accertamento con adesione, dall’altro, il sistema premiale dell’Agenzia, con obiettivi di gettito formulati esclusivamente su base quantitativa e non qualitativa. La conseguenza è che gli ispettori sono orientati «verso le contestazioni seriali, che colpiscono più volte la stessa azienda. Si fanno contestazioni d’ogni tipo e si emettono avvisi d’accertamento con cifre abnormi, per spingere il contribuente ad accettare la successiva proposta di adesione». Ed è qui che si inserisce il funzionario infedele, «quello che in cambio di soldi e regalie agevola l’adesione, abbassa l’importo da restituire, ritocca le sanzioni, potendo godere di margini di discrezionalità enormi». D’altra parte, se il fisco mi fa risparmiare 2-300mila euro, allungarne 2-3mila all’impiegato “gentile” diventa quasi un piacere. Un po’ come dare la mancia a un cameriere zelante. E perché non darne 300, come nel caso di Cosenza, a chi mi velocizza una pratica che altrimenti resterebbe ferma per anni? Il meccanismo è semplice, per quanto agghiacciante: lo Stato ha consegnato agli ispettori fucili da puntare a caso sui contribuenti. E poi si lamenta se qualcuno tenta di scansarsi. di Sandro Iacometti

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