Crisi e Stato debitoreaffossano il mattonePersi 360mila posti
La pubblica amministrazione deve alle imprese di costruzione 19 miliardi di euro. I costruttori: "Dal 2008 perso il 30% degli investimenti"
La vera emergenza industriale in Italia è rappresentata dalla crisi devastante del mattone. Non solo peggiorano tutti gli indicatori ma le misure introdotte dal governo Monti non hanno avuto alcun effetto positivo su quello che è considerato come il “malato nazionale”. Per capire meglio quello che sta succedendo nel silenzio dei cantieri chiusi, mentre nelle fabbriche del Paese infuria la protesta degli operai, basta ricordare che, secondo l'Osservatorio congiunturale sull'industria delle costruzioni, a cura dell'Associazione Nazionale Costruttori Edili (Ance), il settore dall'inizio della crisi ha perso 360 mila posti di lavoro. Tutti questi corrispondono a 72 Ilva di Taranto, 450 Alcoa, o 277 Termini Imerese. «Considerando anche i settori collegati, emerge con tutta evidenza il rischio sociale a cui stiamo andando incontro, infatti, la perdita occupazionale complessiva raggiunge circa 550 mila unità. La situazione è drammatica», ha affermato il presidente dell'Ance, Paolo Buzzetti. A scorrere i dati che escono dal rapporto dell'associazione di categoria non sembra di vedere alcuna schiarita all'orizzonte, come invece i nostri governanti continuano a ripeterci, a partire dal ministro dell'Economia, Vittorio Grilli, che ieri da Bruxelles ha detto di scorgere «segnali di ripresa» per l'Italia. La realtà è un'altra: «Proseguirà la fase di caduta con una riduzione degli investimenti in costruzioni del 3,8% in termini reali rispetto al 2012», sottolinea l'Ance. Stiamo anzi tornando indietro, ai livelli di attività dell'edilizia di 40 anni fa. Dal 2008 al 2013 andranno persi il 30% degli investimenti (53 miliardi in meno). In difficoltà sono tutti i comparti: da quello della produzione di nuove abitazioni, che alla fine del prossimo anno avrà perso il 54,2%, all'edilizia non residenziale privata che segna una riduzione mostruosa del 341,6%, alle opere pubbliche che registrano una caduta del 42,9%. Resiste solo il comparto della riqualificazione del patrimonio abitativo esistente che aumenta del 12,6%. Dove sono da ricercare le responsabilità di tutto questo? Dire che è una conseguenza della congiuntura è riduttivo perfino offensivo. Ancora una volta la politica e lo Stato hanno le loro responsabilità. Enormi. La pubblica amministrazione deve alle imprese di costruzione 19 miliardi di euro, e la cifra è in costante crescita. In media le società che realizzano lavori pubblici sono pagate dopo 8 mesi e le punte di ritardo superano ampiamente i due anni. Il patto di stabilità interno, inoltre, continua a rappresentare la principale causa di ritardo nei pagamenti della Pa. L'austerità ha fatto scendere drasticamente (-23,9% nei primi nove mesi dell'anno) le compravendite. Le banche, poi, che hanno chiuso per la propria sicurezza i rubinetti del credito, contribuiscono alla crisi di tutto il settore. I mutui per l'acquisto delle case sono in caduta libera per la difficoltà delle famiglie ad accedere al prestito e nel primo semestre 2012 è stato registrato un calo del 47,9%. E considerando il periodo tra il 2007 e il 2011, i flussi di nuovi mutui sono diminuiti del 21,5%. Se questo non bastasse, il governo Monti fa calare la scure dell'Imu e passa la voglia anche solo di pensare a una casa nuova. La crisi viene da lontano ma l'attuale esecutivo ha enormi responsabilità. In altri Paesi, come Germania e Francia, vere politiche sulla casa hanno permesso dal 2009 di iniziare un trend in risalita dopo il calo degli investimenti nel 2007. Secondo il presidente dell'Ance, con la sua politica di rigore, Mario Monti ha sottovalutato questo settore cruciale per la crescita del Paese. Forse, ha aggiunto Buzzetti, «non è stato ritenuto un settore fondamentale per la ripresa del pil», ma le riforme applicate «non stanno cambiando la situazione perché il debito pubblico continua a salire». Fra le proposte per uscire da questa situazione, c'è un piano salva-casa in cui gli investitori istituzionali acquistano obbligazioni emesse dalle banche per facilitare l'erogazione dei mutui. di Alessandro Carlini