L'evasore-parassita:uno spot da brividi
Il modello dell'Agenzia delle Entrate: uno Stato autoritario in cui solo le tasse pagate rendono degni
L'Agenzia delle entrate (ri)propone uno spot televisivo che mostra diversi parassiti in una sequenza che termina con l'immagine di un uomo definito come evasore-pidocchio. Testo: chi vive alle spese degli altri danneggia tutti, ecc. Un liberale sente subito, a pelle, che il messaggio è profondamente sbagliato e vi vede i fantasmi dello Stato etico-autoritario (Hegel) che ha ispirato i modelli nazista e comunista nonché lo stile della propaganda demonizzante di Goebbels. Un liberale ebreo fantasioso e un po' paranoico, per esempio il geniale Woody Allen, vedendo quella faccia demonizzata immaginerebbe una scena del tipo: decine di migliaia di imprenditori, commercianti e professionisti incolonnati, controllati da finanzieri SS (la cui nuova divisa, avrete notato, è diventata più scura) e censiti, alle porte di Nuova Auschwitz - dove la scritta non è più «Il lavoro rende liberi», ma «La tassa ti rende degno» - da funzionari dell'Agenzia delle entrate in pastrani di pelle scura, con macchinette contabili che emettono, non più stelle gialle, ma scontrini bianchi autoadesivi. Esagero? Beh, guardate la faccia che ha scelto l'Agenzia delle entrate con il benestare del ministro dell'Economia. Anzi valutate la decisione di mettere una faccia affinché indichi che c'è un'etnia da sterminare: l'evasore non definito tale da una procedura legale, ma solo da un comportamento vago, cioè evasore se non chiedi lo scontrino. Non posso nascondere la paura di un nuovo autoritarismo in Italia. Non tanto per le rimembranze ebraiche ereditate dalla famiglia, ma come studioso e docente universitario che ha dedicato una vita di ricerca a cercare di capire come organizzare la libertà per difenderla e renderla produttiva. L'organizzazione della libertà, la democrazia, è vulnerabile alla degenerazione burocratica. La macchina statale si ingigantisce e ha bisogno di più risorse, fino al punto da sovrascrivere la propria teoria di alimentazione su quella democratica. Macché diritto dei cittadini di determinare con il voto un contratto fiscale. Siano, piuttosto, sudditi della macchina statale e valutati etici solo se la mantengono senza fiatare. Su questo punto lo spot mostra il massimo di pericolo autoritario: non pensare, stermina. Ma c'è un pericolo reale? C'è. La politica, da quando è scoppiata la doppia crisi debito-recessione, è in panico. Non sa come tagliare spesa e fare vere operazioni patrimonio contro debito. Poiché in effetti l'Italia ha un'area notevole di evasione fiscale, allora la scelta più facile è quella di prendere i soldi da lì. Ma la politica non si è chiesta perché c'è l'evasione fiscale studiando l'anomalia del contratto fiscale implicito che vige in Italia dai primi anni '70. Non ha valutato la sostenibilità dei carichi fiscali. Non ha valutato il giusto equilibrio tra spesa fiscale e ritorni in termini di servizi pubblici effettivi. Non lo ha fatto perché non c'era tempo a causa dell'emergenza? No, non lo ha fatto perché ha voluto scegliere la cosa facile e non quella giusta. La cosa giusta sarebbe stata quella di tagliare spesa e tasse per più di 100 miliardi e solo dopo pretendere dagli italiani il pagamento pieno delle tasse perché sostenibili ed eque. Ma il timore dei dissensi da parte della burocrazia e del politicume che vive di denari fiscali ha reso più facile spremere il popolo produttivo perché non è rappresentato né organizzato per difendere i propri interessi. Ed è più facilmente demonizzabile in quanto la stringa semantica per incriminarlo è più corta di quella che lo giustificherebbe, appunto: la scelta più facile sia per un politico sia per una strategia mediatica, ma non la più giusta. In sintesi, il popolo che vive di mercato è oggetto di repressione perché non si difende, nuovi ebrei incolonnati verso lo sterminio. Questo, alla fine, è il significato dello spot. Rimuoverlo? Per niente: è un segnale per noi liberali che dobbiamo mobilitare sul serio contro la svolta autoritaria. di Carlo Pelanda