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Il libero capitalismo democratico non accresce l'ineguaglianza

La gente non è affatto convinta che il pericolo numero uno sia la forbice che si allarga. La parola ai sondaggi

Andrea Tempestini
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Ma la “ineguaglianza che cresce”, slogan di condanna che in tutto il mondo viene sventolato come il muro da abbattere per una società più equa, deve davvero essere preso per oro colato? Come premessa, gli “sventolatori” dovrebbero avere l'onestà intellettuale di riconoscere che i regimi dove l'”ineguaglianza che cresce” è fenomeno codificato, cristallizzato,  sono quelli retti dai partiti comunisti: non c'è niente di più distante delle condizioni reali di vita delle cricche al potere a Cuba, in Nord Corea , o in Cina rispetto alle mitiche loro masse popolari. Distanti, immodificabili, incontrovertibili, addirittura ereditarie. Sotto di loro, “l'ineguaglianza” è stata stroncata nell'unica maniera possibile sulla faccia della terra, ossia abbassando tutti i sudditi non ammanicati alla cricca, le masse popolari non mitiche, allo stesso infimo livello di povertà paritaria. Poiché non hanno l'onestà intellettuale di riconoscere la realtà della soluzione marxista, egualitaria, affamatrice e liberticida, si dedicano ad attaccare il libero capitalismo democratico. In America, dove gli apologeti della redistribuzione forzata tra ricchi e poveri hanno un campione in Obama e negli indignati di Occupy Wall Street, dopo tre anni delle politiche e delle prediche di Barack la gente non è affatto convinta che l' “ineguaglianza che cresce” sia il pericolo numero uno. Anzi. Nel sondaggio Gallup del 16 dicembre il 52% degli americani ha definito il gap tra chi ha di più e chi ha di meno “una parte accettabile del nostro sistema economico”. Una minoranza del 45% ha detto che “va aggiustato”. Ciò che sorprende ancora di più è il trend: nel 1998 lo stesso sondaggio diede l'effetto opposto, con il 52% che voleva “aggiustare il gap”. Evidentemente, e fortunatamente, gli americani  devono avere nel loro DNA qualcosa che li rende istintivamente “Okuniti”, ha scritto in un commento al sondaggio Charles Lane, editorialista del Washington Post. Okun è Arthur Okun, economista di Yale che nel 1975 scrisse un testo fondamentale, “Equality and Efficiency: The Big Tradeoff.” (Eguaglianza e Efficienza: il Grande Scambio) sul rapporto tra i due valori ai fini di una migliore società. La sua tesi, che è sostenuta dalla maggioranza degli intervistati da Gallup in piena epoca obamiana, è che “i mercati liberi sono una fonte di progresso umano che non ha confronti, così come provocano grandi differenze tra ricchi e poveri. In realtà, sostiene Okun, i mercati sono efficienti in parte proprio perché distribuiscono le gratificazioni economiche in modo squilibrato”, scrive Lane. E i governi, quando cercano di smussare le diversità tra i redditi rischiano di minare gli incentivi a lavorare e a investire. Okun era un keinesiano (morì nel 1980) che aveva lavorato come consigliere economico alla Casa Bianca di JF Kennedy, in un periodo in cui i Democratici non avevano ancora operato la forte correzione verso sinistra incarnata oggi dal liberal Obama. “Da qui nasce il Grande Scambio: incanalare reddito dai ricchi ai poveri, secondo Okun, è come cercare di versare acqua in un secchio forato”, spiega Lane. L'obiettivo che i governi dovrebbero perseguire, per Okun, era di trasferire un certo ammontare di ricchezza ai poveri, ma senza che troppa crescita economica finisse nel buco del secchio, in un processo di autodistruzione del sistema.   Il pubblico americano condivide appieno i timori di 36 anni fa del moderato riformista e filo capitalista Okun. A un'altra domanda della Gallup sull'importanza delle politiche federali che hanno i due obiettivi della “crescita economica” e  della “redistribuzione”, l'82% ha risposto che la “crescita” è “estremamente o molto importante” e solo il 46% ha detto che è “estremamente o molto importante” la “riduzione del gap di reddito e di ricchezza tra ricchi e poveri”. Non sono percentuali che fanno bene a Obama, che 10 giorni prima del sondaggio aveva tenuto il famoso comizio populista in Kansas, tutto mirato ad attaccare i più facoltosi, e a proporre più tasse su di loro. Il kennediano Okun non avrebbe approvato. di Glauco Maggi Twitter@glaucomaggi

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