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Obama incrocia le dita: solo i numeri possono salvarlo

Mentre inizia la corsa repubblicana per scegliere il candidato, Barack chiede: "Lasciatemi lavorare". E guarda all'andamento del Pil

Andrea Tempestini
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I repubblicani stanno iniziando, il 3 gennaio in Iowa, la lunga corsa alla scelta del loro candidato. Che non ci sia alcuna chiarezza su chi sarà lo dimostra l'ultimo sondaggio PPP,  in Iowa appunto, che ha lanciato al vertice Ron Paul con il 23% dei favori, detronizzando Newt Gingrich (crollato dal 27% al 14% in una decina di giorni) e lasciando al secondo posto Mitt Romney (pur salito dal 19% al 20%). La gara che si svilupperà nei 50 Stati si concluderà in agosto in Florida, se uno dei contendenti non sbaraglierà prima tutti gli altri, ma tanto sforzo potrebbe essere inutile se succede ciò che l'intera l'America, ma soprattutto Obama, spera con tutto il cuore. Cioè che gli indicatori economici volgano al bello, aumentando i posti di lavoro, il Prodotto interno lordo, e la ricchezza delle famiglie. Si sa che un presidente in carica è molto difficile da battere, per il vantaggio che danno le leve del potere di chi sta alla Casa Bianca: negli ultimi dieci casi in cui un presidente ha cercato la rielezione, solo in tre non sono riusciti, e la causa dell'insuccesso è sempre stata una cattiva situazione economica. Usando dati del Dipartimento del Lavoro, il Wall Street Journal ha pubblicato oggi 19 dicembre una illuminante tabella, da dove emergono alcune “leggi”. La prima è che nessun presidente è stato rieletto con un tasso di disoccupazione più alto del 7,2%, che è quello che diede il bis a Ronald Reagan nel 1984. Bush padre nel 1992 (con il 7,4%), Jimmy Carter nel 1980 (con il 7,5%) e Jerry Ford nel 1976 (con il 7,8%) sono stati bocciati. Ora il tasso è all'8,6%, e Obama ha un anno di tempo per riuscire ad abbassarlo in modo significativo. Non importa che cali fino al 7,2% di Reagan, perché i record sono fatti per essere superati. Ma è lui il primo a sapere che è spacciato, se gli americani non vedono almeno un sicuro trend verso valori più positivi: un punto, un punto e mezzo in meno rispetto ad ora possono non bastare anche se significherebbero la creazione di una prima fetta di posti di lavoro che ancora mancano per una seria ripresa. Per la verità, a Carter non bastò neppure avere migliorato di 1,6% la situazione, ma fu perché anche il dato sull'incremento del Prodotto interno lordo era disastroso: da un anno prima del voto, il PIL era negativo dello 0,1%, quindi il paese era in recessione. Oggi la ripresa americana è asfittica e insufficiente, ma il dato di crescita del PIL è almeno positivo, sia pure del solo +1,5%, che è la performance peggiore dopo quella di Carter dei 10 ultimi presidenti riconfermabili. Sia Bush padre sia Ford, e ciò è un serio allarme per Obama, persero anche se la crescita del PIL del loro ultimo anno prima del voto era stata del +4,3%. Altri segnali molto negativi oggi, e che Obama deve sperare si raddrizzino in tempo, sono quelli sulla ricchezza delle famiglie rispetto ad un anno prima del voto: ora la situazione è la peggiore dei 10 casi precedenti, l'unica con il segno meno (-1,7%). I tre presidenti bocciati nel Dopoguerra avevano il +1,2 Bush padre, il +2,3% Carter e il +7,7% Ford. Idem per il reddito per persona dopo le tasse rispetto a un anno prima. Obama è ora al -0,8% (unico caso negativo), mentre Carter arrivò al voto con +0,8%, Bush padre con + 2,9% e Ford con + 3%. La strada di Barack è in salita, e infatti sta impostando la sua campagna sulla pazienza, sul “lasciatemi lavorare”, sulle accuse di ostruzionismo ai Repubblicani. Ma in realtà, se arriva al novembre 2012 con gli stessi valori di oggi su questi parametri, non saranno le parole a salvarlo ma i numeri a condannarlo. di Glauco Maggi Twitter@glaucomaggi

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