Roma, 29 gen. (Adnkronos) - Il furto ai danni di un collega si paga con il licenziamento. Lo dice la Cassazione sottolineando come, al di la' dell'entita' del bene sottratto, e' l'atto in se' che "incrina il rapporto di fiducia" tra lavoratore e azienda tale da giustificare la massima sanzione. In questo modo, la sezione Lavoro (sentenza 1814) ha respinto il ricorso di Marco M. che nell' agosto 2006 si era visto licenziare dal datore di lavoro, a Forli', "per motivi disciplinari" per avere sottratto lo zainetto ad un collega. Inutile la difesa del lavoratore espulso che, in Cassazione, ha sostenuto anche l'ipotesi dell'appropriazione indebita di cose smarrite. La Suprema Corte ha convalidato la decisione della Corte d'appello di Bologna (gennaio 2010) anche sulla base del fatto che il dipendente, a furto avvenuto, aveva tentato di "impedire il pieno accertamento dei fatti e delle sue responsabilita'". Nel dettaglio, la Suprema Corte, dando l'ok al licenziamento di Marco M., ha ricordato che "ai fini della valutazione di proporzionalita'" dell'espulsione "non appare decisiva l'assenza di danno patrimoniale per la societa'". Per stabilire se i fatti addebitati al lavoratore siano o meno "giusta causa di licenziamento - spiega la Cassazione - si deve tenere conto dell'incidenza del fatto sul particolare rapporto fiduciario che lega il datore di lavoro e il lavoratore, delle esigenze poste dall'organizzazione produttiva e delle finalita' delle regole di disciplina postulate da questa organizzazione". Di conseguenza, "un fatto costituente reato contro il patrimonio, ancorche' determinato da un danno patrimoniale di speciale tenuita', alla stregua della legge penale, puo' essere considerato di notevole gravita' nel diverso ambito del rapporto di lavoro, tenuto conto della natura del fatto, della sua sintomaticita' e delle finalita' della regola violata".