Letta, il doppiopesismo sulle spie russe: quando c'era il Covid…
Quando i convogli militari russi facevano su e giù per il Paese, perlustrando uffici pubblici e database dell'Italia affidata alle cure dell'avvocato del popolo cremlinese, Enrico Letta non manifestava le preoccupazioni odierne per il pericolo di intromissione spionistica.
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Né si dimostrava allarmato poi, quando un conato di giornalismo decente cominciava a formulare qualche domanda sui provvedimenti e sulle decisioni secretate che avevano consentito a manipoli di militari stranieri travestiti da medici di sfogliare i nostri protocolli di gestione della crisi sanitaria, con tanti bei nomi e interessanti dati, e di farne debita registrazione.
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Né, ancora, turbava le serenità di Enrico Letta la propaganda cinese che raffigurava l'Italia sul balcone a rendere omaggio alle generosità pechinesi che alleviavano i patimenti del Paese funestato dell'infezione. Tutta roba insufficiente a molestare l'impassibilità del segretario del Pd, paladino delle tradizioni democratiche vittoriose sul nazi-fascismo salvo che per il bene supremo del collegio elettorale, che va bene qualche capolista pro Hamas e difensore della sovranità di intelligence: salvo che a farne colabrodo sia il governo democratico mondo di contributo di destra, ché allora va benone.