Vittorio Feltri: "Calenda e il liceo per tutti? Cosa devono fare i fighetti di Azione"
Di recente Carlo Calenda, leader di Azione, ha fatto alcune dichiarazioni da non trascurare, le quali meritano necessarie riflessioni. Egli sostiene che «tutti i ragazzi debbano andare al liceo e poi frequentare gli istituti professionali e tecnici. Prima devono essere formati l'uomo e il cittadino». Ne deduciamo che per l'alleato dell'ex premier Matteo Renzi le scuole tecnico -professionali sfornino ogni anno bestie e incivili e che la formazione di tipo specialistico sia una educazione di serie b, così come gli individui che questo percorso scelgono e compiono. Questo convincimento di Calenda tradisce lo snobismo che la sinistra proprio non riesce a staccarsi di dosso e anche una visione limitata della realtà poiché deformata da quelle lenti con cui i radical -chic osservano il mondo, sempre da una certa altezza.
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Si dia il caso che nel secondo dopoguerra coloro che hanno risollevato il Paese e determinato il boom economico e guidato la Nazione fossero soprattutto persone diplomatesi presso quegli istituti tecnici e professionali che Calenda considera alla stregua di allevamenti di polli, strutture non atte a immettere nella società cittadini, ovvero esseri civilizzati consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri, in grado dunque di inserirsi in un tessuto sociale divenendo risorse e contribuendo in tal modo al benessere e alla prosperità dell'organismo in cui vivono. Trattasi di un pregiudizio.
Innanzitutto, il cittadino in nuce comincia a costituirsi già sui banchi di scuola elementare. L'adolescente è già un semi -adulto che gode di ampia autonomia, sebbene dipenda dai genitori e sia vincolato alla loro autorità fino alla maggiore età. Sono la famiglia e la scuola, dalla primaria, a concorrere nella crescita umana e civile dei nostri fanciulli. Credere che coloro che hanno frequentato il liceo classico o scientifico siano più inciviliti, urbani e umani di coloro che hanno frequentato gli istituti tecnici o professionali allo scopo di imparare un mestiere da esercitare non appena concluso il quinquennio di scuola superiore, è un preconcetto da borghesuccio sprezzante se non addirittura borioso. Quello che ci manca semmai è una riforma ossia una valorizzazione e un miglioramento dei nostri istituti tecnico-professionali in quanto scarseggiano lavoratori con competenze specifiche, ampiamente richiesti da un mercato che non li reperisce.
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Imparare un mestiere non è disonorevole. È disonorevole semmai non impararlo, non sapere fare un tubo, non maneggiare nessuna arte, non avere sviluppato alcuna abilità. Oltre alla scuola, Calenda dovrebbe tenere presente che è il lavoro a coronare il cittadino e a completare l'essere umano nobilitandolo. Oggi non trasmettiamo più i nostri mestieri e la nostra artigianalità, celebre nel mondo e tanto decisiva pure per la nostra economia, è in crisi, rischia di perire, poiché non viene più tramandata. Puntare sulle scuole di secondo grado per il recupero e la difesa e la riscoperta di quelle attività che stiamo perdendo non implica la rinuncia alla nostra umanità, il divenire sempre più rustici, la corruzione dei costumi. Tutt' altro.
Chiunque ha idea di quanto sia arduo reperire un idraulico, un elettricista, ma anche un falegname, un sarto e così via. La domanda di queste specializzazioni supera l'offerta, ossia la disponibilità di professionisti impegnati in determinati settori. Non denigro lo studio del greco, delle lettere classiche, del latino che per me è stato essenziale. Eppure ritengo che padroneggiare un mestiere che consenta ad un giovane di portare il pane a casa e realizzarsi sia una priorità rispetto al tradurre Catone o Seneca, i quali senza dubbio concorderebbero con me.
Consiglio a Calenda, affinché sviluppi quello spirito pratico di cui è deficiente, di frequentare per alme no un triennio una scuola tecnica o professionale, dove peraltro - cosa che Carlo ignora- si studiano approfonditamente pure le materie umanistiche nonché Dante, Petrarca, Manzoni, Leopardi e compagnia bella. Nelle lingue morte i tecnici non sono bravi, in quelle vive sì. Segnalo infine al leader progressista che Eugenio Montale, mio collega al Corriere della Sera, era ragioniere, Salvatore Quasimodo fu studente dell'istituto tecnico matematico, Grazia Deledda, premio Nobel per la Letteratura, non arrivò che alla classe quarta elementare, formandosi poi da autodidatta, Guglielmo Marconi, inventore della telegrafia senza fili che rivoluzionò il mondo intero, si iscrisse presso un istituto tecnico e fu studente timido e svogliato. L'elenco potrebbe continuare ancora ma mi fermo qui per non tediare oltre il letterato Carlo.