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Pd, Pietro Senaldi: "Il partito è zozzo ma non si ripulisce"

Pietro Senaldi
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Il Pd è diventato un partito zozzo. Si potrebbe dire che, a furia di fare l'esame del sangue agli altri e pretendere dai rivali certificati di democraticità e adeguatezza etica e morale, ha smarrito la coscienza di se stesso, ma sarebbe fargli uno sconto. La realtà è che il Pd, un po' come Dorian Gray, sa di essere marcio dentro e si preoccupa solo di imbellettarsi, incipriarsi direbbe il femminista Letta, per far colpo sugli elettori grazie al trucco.

Non credo che il segretario sia compromesso con gli scandali che hanno travolto il suo partito in questi giorni e hanno reso manifesto al Paese due fatti gravi. Il primo è che i dem stanno allevando giovani generazioni di dirigenti che, a furia di dar la caccia all'antifascista, sono diventati antisemiti. Il secondo è che il partito ha affidato la città di Roma a uno che, quando parla con i compagni di bottega, usa un linguaggio da malavitoso e urla come un maiale allo scanno. L'incarico di capo di gabinetto del sindaco Gualtieri è arrivato dopo vent' anni nei quali Albino Ruberti, figlio di un ex ministro dell'Università, ha guidato società a intero capitale pubblico, le cui nomine dirigenziali, va da sé, sono tutte politiche. Letta non c'entrerà, però sette anni in Francia non sono una scusa per non sapere, ma una lacuna che un capo ha il dovere di colmare.

LA FISSA DEI GIOVANI - Da sempre Enrico ha la fissa dei giovani. Li voleva far votare a sedici anni e ora progetta di regalargli diecimila euro al diciottesimo compleanno, una mancia pre-elettorale così, per mostrare attenzione. Li usa come spot, un po' come Renzi utilizzava le candidature femminili - da Mogherini a Mosca, da Picierno a Chinnici (dove sono finite costoro?) - e con questo criterio solo pochi giorni fa ha esibito davanti ai riflettori cinque trentenni esordienti come capilista. Di questi, tre hanno già tradito sentimenti anti-semiti. Nel frattempo l'ebreo Emanuele Fiano, figlio del deportato ad Auschwitz Nedo, è stato sbattuto a guadagnarsi il seggio in un collegio difficile per la sinistra perché ha già fatto troppe legislature.
Perfino l'Olocausto in casa dem ha un limite temporale di risarcimento. Il Pd arriverà il 25 settembre con 120-130 eletti. Letta ne conosce come le sue tasche almeno l'80%, gli altri poteva farseli spiegare meglio.

 

 

Il segretario è di una leggerezza sconvolgente, vorrebbe scivolare sulle cacche che pesta tutti i giorni come un toboga sull'acqua, ma esse sono troppo grandi per non inzaccherarlo e affondarlo. Ma il tentativo di far passare come un incidente locale il video che ha portato all'apertura di un'inchiesta e alle dimissioni del braccio destro del sindaco di Roma è destinato al fallimento.

Dare di matto in strada, gridare «se non ti inginocchi ti sparo e racconto a tutti quello che mi hai chiesto» a chi ti ha appena detto «me te compro» non è un'ordinaria lite sul calcio, come l'interessato ancora sostiene. E se lo fosse, sarebbe perfino più grave, per la sproprozione tra argomento e toni, che se non si trattasse invece di una questione di soldi e polizze assicurative da far sottoscrivere al Campidoglio, come molti sospettano. Ruberti è bravo ma fumantino, è cosa nota. Questa è la giustificazione del partito locale. Però i fumantini che si ispirano anche solo nei modi a Tony Montana, il criminale interpretato da Al Pacino in Scarface, andrebbero allontanati a prescindere da un'organizzazione che ha l'ambizione di guidare un Paese, non ricoperti di responsabilità e incarichi.

NON SALVATE IL SINDACO - Siamo a Roma, la città dove è nata la regola che la moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto. Ruberti è la moglie, il sindaco Gualtieri è Cesare. Non bastano le dimissioni della consorte per chiudere la vicenda. Un energumeno simile non può essere messo in tasca e poi far finta di niente, parafrasando un'infelice battuta di D'Alema su Brunetta. Se non ti inginocchi racconto tutto, minacciava l'orco, rivolto a un candidato dem al parlamento e a una consigliera comunale. Ci inginocchiamo noi, se è questo il problema, ma ora l'ex capo di gabinetto vuoti il sacco. Davanti a tutti e subito, non solo quando le elezioni saranno passate e lui sarà costretto davanti ai pm. La colpa di Letta, nella questione, è aver lasciato che il Pd romano rimanesse un organo autonomo dentro il corpaccione dem, con proprie regole, pratiche lottizzatorie e potentati. L'organo ora è divorato dal cancro dell'avidità, dell'arroganza e dell'impunità e le sue metastasi già si vedono nell'intero partito.

 

 

Una sfiga tira l'altra, non c'è altra spiegazione. Letta ha sbagliato tutto fin dall'inizio in questa campagna elettorale e qualcuno, probabile che sia un nemico interno, ha avuto la pazienza di conservare il video incriminato per due mesi, per tirarlo fuori quando faceva più male. Il segretario ha impostato la campagna elettorale su difesa dell'Agenda Draghi e levata di scudi generale contro il pericolo centrodestra e ha tagliato i ponti con i grillini, colpevoli di aver fatto cadere il governo, per stringere un'alleanza con Calenda.

ARGOMENTI DEBOLI - Poi però si è accorto che gli argomenti erano deboli: Draghi ha fatto sapere di non aver nessuna agenda, dell'uomo nero nel nostro Paese nessuno ha più paura, la guerra sta sulle scatole agli elettori più della Russia e il binomio caro bollette e inflazione non rende percepibili all'italiano medio i miracoli dell'ex premier. C'è voluto poco anche per Letta a quel punto per capire che la battaglia per battere il centrodestra era persa in partenza. L'ex premier ha quindi puntato sul richiamo della foresta, barra tutta a sinistra, per diventare il primo partito in Italia, in modo da non farsi cacciare almeno per un po' anche in caso di sconfitta elettorale. Largo a Fratoianni e Verdi, anche al prezzo di sacrificare alle loro truppe qualche seggio sicuro e qualche deputato dem di provata fede e lunga militanza. Ed è così che ha perso Calenda, che si è andato ad alleare con Renzi, lasciando il Pd solo con Di Maio e pochi altri sfigati. A quel punto, il capolavoro delle liste: retromarcia sui progressi progressisti del Pd renziano e spazio solo ad amici e nostalgici Ds, con l'innesto di qualche giovane che, se avesse fatto in tempo, si sarebbe iscritto al Pci, come fece l'attuale ministro del Lavoro e capobastone dem, Orlando, pochi mesi prima che il partito si sciogliesse. Fatali le conseguenze: ritrovarsi in lista piccoli antisemiti e qualche mela marcia del sistema capitolin-laziale democratico. In attesa che lo facciano il deputato mancato (perché costretto al ritiro dallo scandalo) Francesco De Angelis e il fratello Vladimiro, su vibrante invito del fumantino hooligan Ruperti, per ora in ginocchio c'è Letta. E dopo il 25 settembre la mannaia di qualche suo candidato gli mozzerà il capo.

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