Sinistra, giù la maschera: il cinismo dei compagni punta solo alle poltrone
È altamente probabile che Renzi, che è uomo molto pragmatico, e quindi poco avvezzo alla filosofia, nel definire le scelte di Letta come dettate dal rancore, non abbia minimamente pensato a Friedrich Nietzsche. È al filosofo tedesco che va infatti ascritto il merito di avere introdotto nel discorso politico questa che pure sembra essere di primo acchito una categoria solo ed esclusivamente psicologica. E di averla vista all'opera proprio in quel socialismo, marxista e non, che cominciava a farsi strada nel suo tempo, cioè a fine Ottocento. Erede di un certo cristianesimo degenere, il socialismo era per lui la "rivolta degli schiavi", cioè di coloro che non accettavano la vita per quello che è ma trovavano una ragion d'essere solo nel distruggere quanto di positivo era stato fatto dagli altri. Rancorosa la sinistra è sempre stata, e non solo in senso metafisico. E il rancore fra i compagni ha portato nella storia a scissioni, inimicizie, persino assassinii politici, e non solo in senso metaforico.
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Ed è proprio vero anche quel che Renzi ha aggiunto attribuendolo a Letta, che è il suo nemico di sempre, senza accorgersi che in qualche modo stava parlando anche di se stesso, che la sinistra non ha mai abbandonato e che esempi di scelte rancorose ne ha offerti non pochi: «Le liste sono state compilate più col proposito di prendersi delle rivincite personali che non con quello di vincere le elezioni». Una osservazione che fa venire in mente tutte le volte che nella storia i comunisti si sono alleati coi loro nemici pur di sconfiggere i socialisti democratici, che avevano ribattezzato "social-fascisti". Ma il gioco delle analogie non può continuare a lungo, anche perché c'è, nella indubbia continuità di mentalità, una differenza sostanziale fra la sinistra di ieri e quella di oggi. Quella era una vera e propria Chiesa e i suoi fedeli credevano nella sua ideologia e nei suoi dogmi; questa di oggi è invece una sinistra composta da individui che non credono più in nulla se non nel proprio potere personale. E quelle poche idee che manifestano sono in definitiva solo uno strumento per conservare o accrescere questo potere.
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Quando esso è intaccato, i sinistri sono pronti a sputtanare il proprio partito. Un Lotti che accusa il suo segretario di vigliaccheria, una Cirinnà che parla di "schiaffo" ricevuto e che non ha vergogna a dire che aspirava a una candidatura "blindata", il senatore pugliese Dario Stefano che riconsegna la tessera descrivendo il partito in cui aveva miltato fino a poche ore prima quasi come una banda di delinquenti (strano che prima non se ne fosse accorto!), sono episodi un tempo inimmaginabili. Non perché le "notti dei lunghi coltelli", come questa del ferragosto al Nazareno, non esistessero, anzi!, ma perché ci si scannava per motivi un po' meno prosaici e alla fine comunque prevaleva la disciplina di partito e l'accettazione silente delle decisioni del leader. Anche questa è però una fenomenologia ben nota agli studiosi della psiche umana: chi ha creduto fortemente in un Dio, fosse pure un Dio della menzogna quale quello comunista, difficilmente, quando il Dio muore, sceglie un'altra fede. Al contrario, egli si muove con spregiudicatezza e cinismo assoluti avendo come solo fine l'occupazione delle poltrone. Letta sta dimostrando di essere il degno sacerdote di questa fase degenerativa.
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