Centrodestra, “occasione storica”: perché deve riprendersi la cultura
L'occasione è storica o almeno si presenta tale. Per governare il Paese ci vogliono idee non solo nel campo dell'economia, della politica interna ed estera, sui temi e sulle emergenze sociali. Cattolici e marxisti lo hanno capito benissimo (e lo capì altrettanto bene il Fascismo nel primo decennio) e a più riprese: senza egemonia culturale non c'è egemonia politica, ignorare l'argomento o peggio lasciarlo agli altri corrisponde a uno sguardo sulla realtà gravemente miope e rinunciatario che, forse, questa volta potrebbe essere superato fin dal programma, rappresentando così una novità assoluta per un governo di centrodestra. In effetti il quadro sembra diverso rispetto al passato. Il berlusconismo lasciò un'impronta culturale per certi versi discutibili ma comunque innovativi. Forse involontario discepolo della "società dello spettacolo" così come l'aveva preconizzata Guy Debord nel '68, Berlusconi fu l'interprete di una cultura leggera, strutturalmente non impegnativa ma molto attenta a instaurare un sistema mediatico capillare utile alla costruzione di un nuovo intrattenimento e un inedito sistema di consenso, con la televisione quale mezzo principale. Eppure ciò non è bastato a "istituzionalizzare" nuove figure culturali, affidando loro posizioni importanti nei ruoli e nelle strategie.
CULTURA COME IMPICCIO
Dallo Stato alle regioni ai comuni si è sempre avuta l'impressione che la questione cultura fosse un impiccio per il centrodestra, un territorio dal quale non si prendono voti (dato al momento piuttosto oggettivo) e allora tanto vale lasciarlo agli altri. Anzi, in nove casi su dieci i pasdaran della sinistra sono stati confermati nei loro ruoli dagli amministratori di destra che non vogliono grane e nel frattempo si sono resi conto di non aver mai pensato a formare una loro classe dirigente nella cultura. Errore strategico molto grave che dopo il 2013 si è ulteriormente ampliato. Nonostante la Lega avesse nel proprio dna forti radici territoriali con un'idea culturale interessante, che non escludeva il genius loci a fianco di un modello troppo internazionalista, tali premesse sono andate perdute piuttosto in fretta, probabilmente a causa di governi "contronatura" che hanno mescolato anime contorte troppo diverse per essere tenute insieme. Con sorprendente continuità rispetto ad altri dicasteri quello della cultura è stato affidato alle mani di Dario Franceschini, con risultati altalenanti; urge ora un intervento di discontinuità, se vincerà il centrodestra possibile perché la componente maggioritaria della coalizione, Fratelli d'Italia, ha per tradizione rispetto e considerazione del tema. Questa volta, insomma, la cultura potrebbe (e non dovrebbe) essere abbandonata a se stessa.
SCELTE DA COMPIERE
Il programma, al momento, resta vago però c'è ancora tempo per migliorarlo, in particolare in quel punto 10 che mette insieme «Made in Italy, cultura, turismo», ambiti che invece andrebbero separati, turismo e commercio insieme mentre la cultura dovrebbe essere declinata insieme all'istruzione, nodo fondamentale nella formazione delle nuove leve e che a livello univesitario sta affrontando un momento molto difficile nell'era post Covid. Sarebbe bello e innovativo che un governo di centrodestra spiegasse ai cittadini come lavorare nella cultura di oggi, quali scelte compiere, quali sono le nuove professioni, come utilizzare l'opportunità del digitale. Dove la sinistra ha inciso poco ci sarebbero praterie per interventi mirati, ma allora bisogna smetterla con parole d'ordine (Bellezza con la maiuscola che strazio!) e frasette preconfezionate senza un pensiero strutturato. Queste formulette, di cui i governi precedenti hanno abusato, vanno superate proponendo innovazione al fianco della conservazione- digitalizzare il patrimonio storico-culturale questa si che è una sfida- consentire una maggior fluidità nello spostamento delle opere, soprattutto all'estero, ma queste sono solo alcune delle tante possibili applicazioni. Il nodo sta nella teoria. Il centrodestra deve finalmente smarcarsi dal complesso di inferiorità culturale nei confronti della sinistra, piantarla di recitare il ruolo del parente tonto e disinformato, avere il coraggio di affidare ai propri uomini e donne seriamente competenti il compito di pensare. Scegliere persone che abbiano consapevolezza di essere nel 2022, non vecchi parrucconi ancora convinti che la cultura corrisponda a bellezza, tutela, eccellenza quanto piuttosto a contemporaneità, vivacità, volto di un Paese che ha bisogno di innovare profondamente. Ce la farà Giorgia Meloni là dove hanno fallito, più per trascuratezza che per incapacità, gli altri? È una scommessa vera, un'opportunità da non perdere.