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Enrico Letta, Vittorio Feltri lo asfalta: "Miniera di gaffe"

Vittorio Feltri
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Coltivano un culto sciocco gli abitanti dello stivale, ossia quello che ha ad oggetto il concittadino che se ne è andato via. E anche in questo si manifesta il provincialismo tutto nostro. Sorge nella loro mente il sospetto che, essendo questi fuggito, valesse molto, dunque lo si esalta, e subentra prepotente il desiderio di ricondurlo in patria affinché faccia del bene alla Nazione e al suo popolo. Enrico Letta è considerato roba nostra, cioè, specifichiamo, non mia, per carità, ma di quella parte del Paese che per moda si definisce progressista.
Dopo anni dal suo improvviso e forse risentito trasferimento a Parigi nella mente di qualcuno è affiorato il dubbio che probabilmente non l'avessimo trattato con riguardo. L'orgoglio soddisfatto da questo nuovo sentire e da pressanti adulazioni e inviti a rincasare ha fatto sì che Enrico, il quale nel 2017 aveva assicurato che non si sarebbe dedicato mai più alla politica attiva, a dispetto degli scettici che ritenevano che egli non avrebbe mai più varcato il confine, è tornato in quel di Roma, ingolosito dall'odore di gloria, per porsi alla direzione del Partito democratico, la cui segreteria era stata appena abbandonata da Nicola Zingaretti. Correva l'anno 2021.

 

 

 


Ci aspettavamo miracoli, proprio in virtù di quella mentalità che ci induce a reputare alla stregua di un salvatore chi rientra. Invece Enrico Letta si è rivelato ancora più inefficace e inconcludente di quando emigrò. La sua maniera di condurre la campagna elettorale non fa che avvantaggiare il centrodestra, che gli è grato. Basti considerare per di più che da quando Letta è stato rimesso alla guida del Pd, i dem sono stati sorpassati dai fratelli d'Italia. Insomma, Enrico realizza autogol clamorosi e le sue aspirazioni di farsi federatore della sinistra si scontrano con l'assenza di carisma e una ormai conclamata incapacità di dare vita ad una compagine tenuta insieme da valori comuni, quindi solida. La sua federazione è una tristissima ammucchiata di riciclati in cerca di una poltrona su cui poggiare il culo.

 

 

 

 


Dunque, abbiamo sopravvalutato quest' uomo, anti -sessista che attacca Meloni con un linguaggio (il riferimento alla cipria) che chiunque a sinistra definirebbe "misogino" e ghettizzante.
Soprassediamo su altre delle sue gaffe, come quando nel 2013, in visita in una scuola in qualità di premier, spiegò che quando egli era un alunno, negli anni Settanta, "eravamo tutti bianchi, direi quasi ariani". Se queste parole fossero state pronunciate dalla sua principale avversaria, Giorgia Meloni, chissà quali insulti avrebbe ricevuto la leader di Fratelli d'Italia, conditi dalle consuete accuse di razzismo. E come dimenticare di quando su Twitter Enrico si compiaceva del fatto che Claudio fosse stato il primo imperatore romano straniero, lodando la lungimiranza dei romani che non erano mica razzisti come noi, che siamo brutti sporchi e cattivi? Peccato che Claudio fosse romanissimo. Tuttavia, gli scivoloni peggiori di Letta, ultimo premier ad avere aumentato l'IVA, sono le sue proposte politiche, sempre le stesse mentre il mondo muta, segno che questo individuo ha poca fantasia: più balzelli, tassa di successione, ius soli, Ddl Zan, ius scholae, porte sempre aperte agli immigrati irregolari, bonus di migliaia di euro ai maggiorenni, una sorta di regalo di compleanno per il diciottesimo. Il Paese va a puttane e Letta vuole risolvere i problemi con la solita pappetta di sinistra, la quale peraltro non ha mai funzionato. 

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