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Pd e M5s, da Enrico Letta a Di Battista: quel fascino di Mosca sui giallorossi

Iuri Maria Prado
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A Enrico Letta e al suo partito non davano troppo fastidio, anzi nessuno, le simpatie verso Est quando si esprimevano da parte dell'alleato di governo che apriva le porte ai convogli militari russi e ai "medici" con mostrine e stellette che andavano a frugare nei laboratori scientifici e nei database dell'Italia sottoposta alle cure del punto di riferimento fortissimo di tutti i progressisti.

Letta ha mezzo partito, e forse di più, che assai malvolentieri ha subito l'esperienza del governo Draghi e molto volentieri si dedicherebbe all'affascinante avventura con i 5Stelle, tanto più gioiosamente per la prospettiva che torni ad appartenervi e a militarvi El Dibba, il reporter venezuelan-cremlinista che dalla trasferta siberiana canta il coraggio del popolo che si fa burle delle sanzioni imperialiste.

 

Che l'accondiscendenza di Salvini e di Berlusconi per il regime russo non si sia consumata la notte del 24 febbraio, e che entrambi abbiano con qualche riluttanza dovuto condividere tutte le politiche di aiuto in favore dall'Ucraina (cosa che comunque hanno fatto), può essere una scoperta scandalosa solo per qualche cretino o per chi è talmente disonesto da non riconoscere che si trattava di un atteggiamento tutt' altro che isolato. 

 

Con la differenza che col pacifista comunista sindacalista collaborazionista che raffigura Zelensky con baffetti da Hitler e braccio fasciato di svastica si può dopotutto ancora discutere, perché battere le destre val bene qualche trascurabile incoerenza. Tipo denunciare che la fine del governo Draghi ha rappresentato per i russi la più grande ragione di festa dopo la caduta di Boris Johnson, dimenticandosi, Letta, di come lui stesso, giusto qualche settimana fa, festeggiava con un bel tweet la sconfitta del "pagliaccio" inglese.

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