Vittorio Feltri, la profezia su Draghi: "Non vorrei essere al suo posto"
Confesso in tutta onestà che non vorrei essere in questo momento nei panni di Mario Draghi. Il primo ministro che mette tutti d'accordo (tranne Giuseppe Conte che, a quanto pare, deve ancora mettersi d'accordo con il suo proprio cervello) è sommerso letteralmente da una valanga di lettere, neppure fosse Babbo Natale nel periodo prenatalizio. A scrivergli sono sindaci, farmacisti, imprenditori, trasportatori, categorie varie e anche eventuali, tutti coesi nel chiedere al premier di non andare a casa, cioè di non mollare le redini di un Paese allo sbando.
Negli altri Paesi i politici si avvicendano.
Draghi addio? Il nome a sorpresa: totopremier, chi può fregare il posto a Giuliano Amato
In Italia li poniamo sotto sequestro, come abbiamo fatto di recente con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale si era illuso di potere rientrare nella sua Sicilia bedda, invece si è ritrovato inchiodato al Quirinale, obbligato, obtorto collo, ad approcciarsi a soggetti del calibro dei grilli ni. Per carità, si tratta di un piacevole luogo in cui vivere e non di un istituto di pena di massima sicurezza, tuttavia, se ogni due per tre ti ritrovi al Colle il premier di turno che ti consegna le dimissioni e ti tocca gestire l'oramai annuale crisi di governo, diventa tutto una gigantesca rottura di scatole.
E adesso è il turno dell'ex presidente della Bce. Nessuno vuole che sloggi da Palazzo Chigi. Se si potesse, verrebbe fatto imperituro presidente del Consiglio. Ma, grazie a Dio, non si può. E dico "grazie a Dio" non già perché Draghi non mi piaccia. Tutt' altro. La sua autorevolezza a livello internazionale è indiscutibile, la sua credibilità idem. Eppure la democrazia implica qualcosa a cui le forze politiche, e non il popolo - sia chiaro -, sono diventate palesemente allergiche, ovvero le elezioni. Anticiparle davanti ad una situazione ingestibile in cui manca di fatto una maggioranza che garantisca stabilità ed efficacia nell'azione politica non è un peccato, non è un reato, non è un crimine, non è impossibile. Anzi, talvolta è assolutamente necessario per il bene del Paese.
Se il fatto che Draghi venga deposto rappresenta un danno, un danno maggiore è rappresentato dal volere tenerlo ad ogni costo legato alla poltrona di primo ministro. Si vada alle elezioni anticipate quindi, allo scopo di rendere le Camere specchio effettivo della volontà popolare e del Paese giungendo così alla creazione di un esecutivo più solido, ben diverso da questa sempre più squallida ammucchiata di nemici e cretini il cui unico collante è l'interesse personalistico alla salvaguardia della propria poltroncina color porpora.
I timori nei confronti delle urne posso bene comprenderli. Al prossimo giro i seggi di Camera e Senato saranno drasticamente ridotti, parecchi deputati non hanno alcuna speranza, neppure minima, di essere rieletti, neanche candidati nuovamente.
Più di tutti a dovere nutrire queste paure dovrebbero essere i grillini, e Conte cosa fa? Li avvia al macello, forse non solamente per spirito di rivalsa su Draghi bensì poiché persuaso che lo strappo con la maggioranza possa in qualche modo giovare al Movimento Cinque Stelle, aiutandolo a recuperare un minimo di consenso passando alla opposizione, dove l'unico partito che cresce da mesi è quello di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia. Non capisco se quella di Conte sia ingenuità o eccessiva fiducia in se stesso.
Il M5S non potrà mai più riconquistare, e tantomeno nel giro di qualche mese, la stima dell'elettorato in quanto lo ha tradito e più di una volta nel corso di questa legislatura, ribaltando dall'oggi al domani posizioni e valori declamati con orgoglio poco prima.
Il popolo è meno cretino di quanto si creda. Lo freghi una volta, sì. Ma la seconda, la seconda, proprio no.