Di Maio, Sallusti: la rete di Mattarella e Draghi dietro lo strappo
Giuseppe Conte si è rimangiato, come al solito, la promessa di fare ballare il governo Draghi sulle mine da inviare all'Ucraina ma ciò non è servito a non far esplodere il Movimento Cinque Stelle. Sempre per stare in metafora guerresca "il dado è tratto": Luigi Di Maio se ne è andato, seguito da qualche decina di deputati e senatori da oggi ex grillini. La scissione si è consumata, un fragoroso boom che rimbomberà a lungo nei palazzi della politica. Le strade tra i "governisti" e i movimentisti duri e puri (in maggior parte deputati e senatori duri più che altro per non essere stati cooptati su qualche poltrona governativa) si dividono e difficilmente un giorno torneranno a unirsi perché le scissioni sono ferite politiche ed umane non sanabili, come ben sanno sia in Forza Italia che nel Pd.
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È evidente che l'operazione ha la copertura sia del premier Draghi che del presidente Mattarella. Di Maio è troppo scaltro per fare un salto nel buio e avrà avuto più di una garanzia sul fatto di mantenere la poltrona di ministro degli Esteri, un po' come fece nel 2014 Angelino Alfano quando a sorpresa, Giorgio Napolitano regista, lasciò Forza Italia per fondare il suo nuovo partito e indebolire Berlusconi. In realtà che cosa farà Di Maio nelle prossime settimane o mesi è tema poco appassionante. Più interessante è capire se ieri è nato qualche cosa spendibile elettoralmente, cioè se siamo di fronte all'embrione di un nuovo partito di centro, qualcuno già lo chiama "draghiano", capace di rimescolare le carte dell'offerta politica. Può essere che questo sia il progetto - il fatto che in tanti lo abbiano seguito lascia intendere che Di Maio è in grado già oggi di offrire una ricandidatura - ma i precedenti targati Alfano, Monti, Renzi e Calenda non sono benauguranti né ha mai funzionato un partito che nasce per somma di ex e neo leader perché come noto un pollaio funziona se c'è un solo gallo.
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In attesa di capire il futuro il presente ci dice che non è possibile - come ancora crede il povero Conte che da questa vicenda esce a pezzi come era più che prevedibile - essere contemporaneamente movimento di opposizione e forza di governo. Prima o poi l'elastico si spezza, e questo vale non soltanto per i grillini. Chi vuole intendere, intenda.