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Non è l'Arena, cosa è successo tra Massimo Giletti e gli agenti di Putin: il retroscena di Sallusti

Alessandro Sallusti
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Questo giornale si chiama Libero non a caso. Nel suo nome, scelto oltre vent’anni fa non a caso da Vittorio Feltri, è rinchiuso il nostro dna: liberi, anche di sbagliare, a volte pure di spararle grosse e chi più di voi lettori ben sa quante volte ciò sia successo. Ma abbiamo un paletto: la libertà di pensiero presuppone un pensiero che è cosa diversa dalla propaganda, dalla quale ci teniamo ben lontani, che per definizione non solo è la negazione della libertà di espressione ma è pure a pagamento, nulla quindi a che fare con l’informazione.

 

Lei dee sono naturalmente di parte, altrimenti ci troveremmo in un regime di pensiero unico che è esattamente ciò che noi combattiamo. Ognuno di noi ha le sue, ci confrontiamo con chiunque la pensi diversamente da noi ma non per questo siamo disponibili a farci prendere per i fondelli come provano a fare regolarmente i prezzolati di Putin che imperversano sulle nostre televisioni. Li riconosciamo a occhio nudo senza bisogno di consultare le ridicole e illiberali liste di proscrizione compilate dai nostri servizi segreti e ovviamente diffuse, in quanto segrete, via stampa perché in Italia funziona così.

L’altra sera, ospite della trasmissione Non è l’Arena condotta da Mosca da Massimo Giletti, ho detto a due o tre di questi signori come la pensavo e ho poi tolto il disturbo. Se ho esagerato nei toni e negli aggettivi è soltanto permettermi a un livello comprensibile ai miei interlocutori. Ammiro, ma non comprendo, i colleghi che perdono tempo facendo loro domande sensate. È un esercizio inutile perché, come è successo anche domenica sera, mai si otterrà una risposta che faccia fare anche soltanto un passo in avanti al dibattito. Hanno imparato a memoria la storiella dell’Occidente baro e corrotto e di lì non si spostano, se gli chiedi come si chiamano ti rispondono che il nome non conta, conta che tu sei servo dell'America, che non sei libero eccetera eccetera.

 

Ecco tutto ciò non ha nulla a che fare con la libertà di espressione e neppure con la par condicio. Diceva Confucio: «Quando le parole perdono il loro senso le persone perdono la libertà». Sono passati duemila e cinquecento anni, noi lo abbiamo capito e siamo liberi, i propagandisti russi no. Se uno di loro, per caso, volesse discutere seriamente di due o tre cose che riguardano questa assurda guerra noi siamo qua, ma niente trucchi e niente inganni. Perché non Confucio bensì Totò più di recente ebbe a dire: «Signori, ccà nisciuno è fesso». 

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