Enrico Mentana fa servizio pubblico, la Rai invece no: Francesco Storace demolisce Viale Mazzini
Enrico Mentana non rimpiange toga rossa e ha deciso di informare gli italiani sui referendum di domenica prossima. Mercoledì sera, in prima serata, solo lui su La7 farà il suo dovere giornalistico nel raccontare su che cosa si dovranno pronunciare gli italiani.
Nel panorama televisivo Mentana - finora - è l'unico che ha deciso di "osare" nella sfida alla censura sui quesiti in materia di giustizia. Sembra che sia passato un ordine: non parlatene per non far raggiungere il quorum del 50% di affluenza, già sabotato dal governo Draghi con la decisione di far votare in un solo giorno anziché due. Mentana ha dimostrato di voler essere libero da condizionamenti e finge stupore se glielo fai notare: «Non so, non seguo gli altri».
Eppure, avrebbe dovuto pensarci il servizio pubblico radiotelevisivo. Che ancora una volta si fa soppiantare da un'emittente privata. Sulla Rai (e neanche su Mediaset) non c'è traccia di trasmissioni dedicate - in orari decenti - ai referendum di domenica. A La7 almeno una ci sarà. È incredibile. A viale Mazzini sono alle prese con le nomine. Come ai bei tempi della magistratura svelati da Luca Palamara, conta quello che vuole il Pd, il resto non conta.
Il problema è Orfeo, agli italiani ci penserà Morfeo, quando andranno a nanna prima o dopo il dibattito sulla Tv di Stato. Fuortes ora è oggettivamente alle prese con se stesso e non può pensare a chi gli paga lo stipendio con il canone. Del resto, chi comanda alla Rai deve vedersela col Pd che vuole affondare la consultazione popolare. Guai a toccare la magistratura con i suoi errori, ne hanno bisogno. Perdono le elezioni, "vincono" grazie alle sentenze.
Oggettivamente c'è da chiedersi se almeno il Centrodestra, per una settimana, cela fa a mostrare unità e a pretendere da ogni suo "navigatore" di invadere i social - a partire dai leader - con l'invito a votare. Giri lungo le strade delle città e vedi desolatamente vuote le plance dedicate alle affissioni di manifesti. Il povero Roberto Calderoli si sgola ed è già arrivato al quinto giorno di sciopero della fame. Vanta quattro chili persi, «la pressione per fortuna è a posto, il morale è alto, per cui si va avanti, pronti ad un'ultima settimana di fuoco in giro per tutta l'Italia».
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E intanto sono già 160, tra componenti del Comitato del Sì e del Partito Radicale, ad aver aderito allo sciopero della fame contro il muro di silenzio intorno ai referendum. La partita si gioca su quei cinque quesiti: se vincono i sì, sono un antipasto per la riforma compiuta della giustizia e magari per ottenere dal Parlamento quella responsabilità dei giudici su cui la Consulta ha negato al popolo il diritto di esprimersi. Mai come ora il popolo ha un grande potere in mano. Se quel 30 per cento che ha già deciso che andrà a votare convincerà un'altra persona, la percentuale arriverà al 60. Ma può essere un problema solo di Mentana e Calderoli fare di tutto per accendere i riflettori sul voto di domenica? Ieri Matteo Salvini ha stuzzicato Mattarella e Draghi: «Dicano qualcosa contro una censura che è clamorosa». Figurati... e poi Enrico Letta chi lo sente. Manca Pannella, con una delle sue azioni dirompenti.