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Con Vladimir Putin i "compagni" sono tornati: se lo zar rispolvera la parola-feticcio

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Giovanni Sallusti
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«Compagni soldati e marinai, sergenti e capisquadra! Compagni ufficiali, generali e ammiragli!». C'è qualcuno più titolato di tutti a dire chi sia e cosa rappresenti Vladimir Vladimirovich Putin e anche se sembrerà strano agli esperti italici del talk accanto, è proprio lui, lo stesso Vladimir Vladimirovich. Se è vero che, come diceva Martin Heidegger, «il linguaggio è la casa dell'essere», il luogo in cui si manifesta il senso recondito delle cose, quel «compagni!» che rimbomba nell'incipit del discorso putiniano per il Giorno della Vittoria sa di auto-descrizione definitiva, che nemmeno l'Orsini più immaginifico o il Santoro più arruffapopolo possono edulcorare. Rispolverando il lemma-chiave della mitologia comunista e collegandolo direttamente alle truppe deputate all'«operazione speciale» contro i «nazisti ucraini» durante la commemorazione della vittoria sul nazismo autentico, Putin traccia irrevocabilmente quale sia l'orizzonte dentro cui pensa, agisce, combatte. Quello dell'homo sovieticus.

 

 

 

NOSTALGICO

La nostalgia dell'Urss rappresenta non solo il trauma originario nella sua biografia, non solo l'architrave della sua dottrina (ha più volte battezzato il crollo seguito al 1989 «la più grave catastrofe geopolitica del XX secolo»), ma soprattutto lo schema in base a cui concretamente opera. Georgia, regime-fantoccio in Bielorussia, intervento in Kazakistan, la Crimea, adesso tutta l'Ucraina o il Donbass, a seconda dell'andamento della guerra, e della sua sorella inseparabile, la propaganda (il discorso di ieri è stato più centrato sulla sola regione orientale, ché anche le pseudo-vittorie devono mantenere una loro verosimiglianza).

 

 

 

IMPERO RUSSO

È chiaro che Putin non riconosce alcuno status autonomo, storico, ontologico, alle nazioni e ai territori che erano inglobati nella grande pancia dell'Orso sovietico. Al massimo, sono appendici temporaneamente recise dell'Orso, come del resto ha dichiarato la sera in cui ha annunciato l'operazione bellica («perla sicurezza della nostra Patria», ha ribadito ieri): «L'Ucraina non esiste se non all'interno della Russia». La reiterazione di uno spazio vitale che coincide con l'impero comunista, e con quell'esclamazione vecchissima e recente, perturbante, inequivocabile. «Compagni!», ripetuto per ben sei volte, tra le parole più ricorrenti del discorso. E l'attualizzazione del passato, la costante confusione ideologica dei piani, esonda da ogni lato, si fa lapsus linguistico anche dietro la mera rievocazione storica: «Il 9 maggio 1945 è per sempre iscritto nella storia mondiale come un trionfo del nostro popolo sovietico unito, della sua unità e del suo potere spirituale». Nella revisione putiniana le Repubbliche Socialiste non incarnavano diversi popoli e storie forzatamente unificate sotto il Soviet, ma un unico popolo cementato da una comunione d'intenti "spirituale". Che è inesistente nella realtà, visto la fuga centrifuga da Mosca appena franò il regime, ma che è fondamentale nella retorica del nuovo regime, il suo. «Gli Stati Uniti d'America, soprattutto dopo il crollo dell'Unione Sovietica, hanno iniziato a parlare della loro esclusività». È Putin il primo reduce inconsolabile della Guerra Fredda, è a lui che serve anzitutto la narrazione dei blocchi contrapposti ed è lui che la sta ripristinando nella realtà, checché s' inventino i corifei di un immaginario Zar intento a tendere la mano a un Occidente perverso ("nazista"?) che gliel'ha morsa. Lasciate perdere, fatica sprecata, l'ha chiarito Putin chi sono quelli che combattono al suo fianco: "compagni", totalitari, comunisti. 

 

 

 

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