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Da D'Alema a Minniti, quanto è bello per il Pd fare la guerra: il mix tra ideologia e denaro

Gianluca Mazzini
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Se si dovesse pensare a un remake del celebre film del 1974 Finché c'è guerra c'è speranza, il casting per gli attori potrebbe essere tenuto all'interno del Pd. Il ruolo dell'attore protagonista, al posto di Alberto Sordi (nelle vesti di un mercante d'armi senza scrupoli per soddisfare le pressanti richieste di denaro di una famiglia ipocrita) potrebbe essere affidato a un dirigente del Pd. La vocazione guerresca del partito erede del Pci è un dato di fatto ma le guerre sostenute non sono per la liberazione del proletariato ma per la Nato. Un'evoluzione iniziata fin dai tempi "miglioristi" di Napolitano e che ha avuto uno dei suoi più noti esponenti in Massimo D'Alema. Tralasciamo l'ultima vicenda che lo vede nelle vesti di "lobbista" per piazzare sottomarini e navi (prodotti da Leonardo) alla Colombia. L'attrazione fatale per le armi della nostra sinistra americanizzata scatta con la guerra alla Serbia del 1999.

 

L'allora governo D'Alema partecipa all'Operazione chiamata "Allied Force". Per 74 giorni Belgrado è martellata dall'aeronautica Nato che sul nostro territorio disloca un migliaio di velivoli. In azione anche un centinaio di aerei italiani. La guerra si conclude con l'indipendenza del Kosovo e almeno 3000 morti.

 

Da allora la passione degli esponenti del Pd per guerra e armi non è mai venuta meno. Oggi il Partito di Letta esprime il Ministro della Difesa (Lorenzo Guerini) e nella maggioranza è il più determinato nel sostenere l'opzione militare per l'Ucraina, con il conseguente aumento delle spese militari. Ma qui non sono in gioco solo principi morali, c'è anche un aspetto più pratico. Basta guardare gli attuali assetti dirigenziali della nostra industria bellica. Un comparto strategico con il quale l'Italia ha guadagnato 100 miliardi negli ultimi 30 anni. Qualche esempio. Leader del settore è la Leonardo Finmeccanica: l'amministratore delegato è l'ex banchiere (Unicredit e Paschi di Siena) Alessandro Profumo, area Pd. La collegata Fondazione Leonardo (nata per «rafforzare i legami tra azienda e Paese») ha come presidente l'ex magistrato Luciano Violante, già Pci.

Sempre Leonardo ha creato la Fondazione Med-Or (per sviluppare «il trasferimento di tecnologie nei paesi del Mediterraneo e in Oriente»). Alla guida l'ex ministro degli Interni Marco Minniti, già dalemiano. Il Gruppo Difesa Servizi ha «l'obiettivo di reperire fondi per finanziare attività del ministero della Difesa». Amministratore delegato è Fausto Recchia, ex parlamentare del Pd. Direttore dell'Agenzia Industrie Difesa («ente di diritto pubblico») è Nicola Latorre, ex senatore vicino a D'Alema. Dati alla mano, oggi in Italia è il Pd ad aver abbracciato l'ideologia dei neo-con americani, che al tempo della presidenza George W. Bush teorizzarono le guerre per «esportare la democrazia». Una perfetta miscela di ideologia e business che ha affascinato i dirigenti di via del Nazareno passati in pochi anni da pacifismo e neutralismo al bellicismo più convinto. 

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