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Volodymyr Zelensky, la lezione di un eroe: o libertà o barbarie. Perché è uno schiaffo alla sinistra

Giovanni Sallusti
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La lezione di VolodymyrZelensky è anzitutto epistemologica, ha a che fare con la verità e con gli strumenti per acquisirla, ben prima che con la politica o con quella sua prosecuzione tragicamente particolare che è la guerra. Perché ha semplificato ieri, davanti al Parlamento nostrano riunito in seduta comune, dannazione se ha semplificato, come quell'eroe a tratti improbabile che è, ma anche, fateci dire, come chiunque sopravviva da un mese sotto le bombe e la sera sia abituato a contare i cadaveri dei connazionali accatastati. È la posizione contraria a quella di molti suoi critici, che spaparanzati nei salotti, non di rado televisivi, garantiti da quei missili Nato che Volodymyr vorrebbe tanto avere e non ha, si dedicano alla purissima arte italica del frazionamento del capello in quattro, in otto, in sedici. Perché la situazione è sempre complessa, c'è sempre una remota catena delle cause, ogni dittatore ha sempre le sue ragioni. Bene, Zelensky parlando ai nostri rappresentanti ha reciso alla radice qualunque complessità. «L'Ucraina è il cancello per l'esercito russo e loro vogliono entrare in Europa, ma la barbarie non deve entrare». Eccolo, il bivio, plastico e non ricomponibile, un aut-aut come è tutta la concretezza dell'esistenza umana, avrebbe detto il filosofo Søren Kierkegaard, non un et-et per professionisti della dialettica: libertà o barbarie. Democrazia liberale europea, o dispostismo orientale post-sovietico.

 

 

«Vogliono influenzare le vostre vite, avere il controllo sulla vostra politica e la distruzione dei vostri valori». Questo, è in ballo oggi, è un'alternativa semplice da comprendere, proprio perché ultimativa. «A Kiev torturano, violentano, rapiscono bambini, distruggono e con i camion portano via i nostri beni. L'ultima volta in Europa è stato fatto dai nazisti». Anche dietro la violenza totalitaria e imperialista di Hitler pulsava un groviglio di ragioni storiche, la pace sbagliatissima e punitiva di Versailles, la depressione economica, l'inettitudine della Repubblica di Weimar. Tutto evaporato nell'inessenziale, quando il Reich cominciò a invadere Stati sovrani e opprimere popoli liberi. Aut-aut. La complessità è un vecchio trucco del pensiero di sinistra, è il sociologismo, la contestualizzazione estrema, è marxismo volgarizzato per mascherare il proprio disagio a stare con l'Occidente, sommamente imperfetto ed eccezionalmente libero.

 

 

Un tic che sta attecchendo anche presso certi putiniani "benaltristi" di destra, quando le grandi figure politiche o letterarie del conservatorismo ci hanno insegnato l'esatto contrario. Churchill che butta a mare i distinguo di Chamberlain e resiste a oltranza al nazismo. Reagan che rinuncia alla dottrina del "contenimento" e lancia la sfida a tutto campo contro l'Impero del Male, l'Urss madre sempre rimpianta di Putin. Oriana Fallaci che dopo l'11 settembre grida la sua rabbia e il suo orgoglio contro l'islamismo assassino. Aggressore e aggredito, libertà e tirannia, sì, perfino Bene e Male: nei tornanti della Storia sono maledettamente chiari, non c'è nulla di complesso. Sempre Zelensky: «Kiev ha bisogno di vivere nella pace, come deve averla Roma e qualunque città del nostro mondo. Ma a Kiev ogni giorno si sentono le sirene e cadono le bombe e i missili». O stai con chili sgancia, o stai con chili riceve in testa. Se ti sembra che ci sia qualcosa di più complesso, non sei più intelligente. Nella migliore delle ipotesi, lo sei meno. 

 

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