Ucraina, se la guerra diventa un conflitto di genere: i filosofi e l'ultima teoria campata in aria
Francamente non c'eravamo arrivati, e chiediamo venia per questa nostra insipienza. Per fortuna che Giorgia Serughetti ci ha aperto gli occhi. E le sua scoperta deve essere davvero "epocale" se il Domani, il quotidiano di De Benedetti, ha ritenuto di dare ieri alla "filosofa", come viene presentata (ce n'era bisogno?), addirittura il fondo in apertura del giornale. Sapevate qual è per Putin "la posta in gioco nascosta della guerra"? Immaginate la sicurezza militare, il sogno di una "Grande Russia", un successo che puntelli il suo potere interno e che distragga dalla crisi economica? Siete fuori strada! La vera "posta in gioco" è "il conflitto intorno ai modelli di genere e sessualità", ovvero alla "trasformazione dei costumi promossa dai movimenti femministi e Lgbt". Ora, a parte il fatto che il femminismo va spesso in frizione con le altre tendenze pro gender, non si può non notare come l'autrice converga con Kirill I, il patriarca di Mosca, il quale, non sapendo a quale motivo appellarsi per giustificare la guerra di Putin, ha fatto riferimento proprio alle parate gay che noi liberamente lasciamo sfilare e che la chiesa ortodossa non vorrebbe mai vedere in terra russa.
"Contro i gay, perché quella in Ucraina è una guerra giusta": Mosca, l'orrore del patriarca Krill
Non sarebbe opportuno perdere molto tempo su farneticazioni di questo tipo, se non fosse che esse strumentalizzano la guerra in corso per portare acqua a un certo bacino ideologico nostrano, il quale per ironia della storia nasce dallo stesso e identico ceppo giacobino e comunista in cui si è formato il nuovo zar. Come è noto, la sinistra occidentale ha fatto di certe battaglie un terreno di elezione non tanto per superare antiche "discriminazioni" quanto per darsi un senso e un'identità dopo che la storia ha provveduto a rottamare i suoi vecchi valori. Il trait-d'-union fra le due sinistre, quella vecchia e questa post-moderna, è nella volontà, di origine illuministica, di cancellare il passato bollandolo come "superstizione"; e di provare a immaginare e costruire su queste macerie l'"uomo nuovo". Il passato non è visto come un inesauribile risorsa di senso, un deposito di tradizioni che non sono poi altro che le risposte date dall'umanità nel corso del tempo ai propri problemi.
Esso è visto come un male da estirpare. Tradizioni e identità non certo statiche per il conservatore e il liberale, ma che devono per lui svolgersi sempre in un'ottica evolutiva e dialettica, non meramente distruggitrice Sia beninteso, le due mentalità, la progressista e la liberale, hanno diritto entrambe di esistere e confrontarsi in campo aperto: è questa la bellezza e la forza della democrazia. Qui però c'è il tentativo di bollare una delle due come immorale e perciò di escluderla a priori. Che è a ben vedere lo stesso tentativo di sopprimere il pluralismo delle idee che, ovviamente in tutte altre forme e modalità, persegue Putin. Uguale è la furia distruttiva, per fortuna da noi solo delle idee, e l'esito sostanzialmente nichilistico del processo. Un'ultima considerazione: duole osservare ancora una volta come i filosofi oggi amino seguire la via più semplice e comune, prevedibile, del pensiero, aderendo al senso comune ed esercitandosi in similitudini facili ma del tutto campate in aria.