Ucraina, Alessandro Sallusti: "Dopo il discorso di Mario Draghi siamo entrati in guerra, ecco quanto ci costerà"
Il discorso pronunciato ieri al Senato con il quale Mario Draghi ha chiesto al Parlamento di approvare le misure di aiuto all'Ucraina e di sanzioni alla Russia è di quelli che restano nella storia di un Paese. Draghi ha rivendicato il dovere di schierare l'Italia nel blocco Occidentale senza se e senza ma, costi quel che costi. E costerà - il premier lo ha fatto capire forse più di quanto oggi ognuno di noi possa immaginare. Siamo a un bivio non della cronaca ma della storia e l'Italia non può avere incertezze né fare calcoli di utilità per evitare danni collaterali. Quello che Mario Draghi non ha detto, né avrebbe potuto dire, è che da oggi l'Italia è di fatto entrata in una situazione di guerra, insieme agli altri paesi della coalizione Occidentale, contro la Russia.
Perché in sintesi ciò che ieri il nostro parlamento ha approvato è offrire supporto economico, umanitario e soprattutto militare all'Ucraina. Tanto che il ministro degli Esteri russo non ha tardato a farci sapere che "i cittadini e le strutture europee coinvolte nella fornitura di armi e lubrificanti alle forze armate ucraine saranno ritenute responsabili di qualsiasi conseguenza di tali azioni nel contesto dell'operazione militare speciale in corso e non possono non capire il grado di pericolo delle conseguenze". È vero che la parola "guerra" è bandita dalla nostra Costituzione, ma non lo è dal vocabolario umano. Non l'abbiamo cercata né voluta, abbiamo fatto il possibile per evitarla ma ora c'è e non resta che prenderne atto sapendo che, comunque vada a finire, nulla nei rapporti internazionali, e quindi nella geopolitica e nell'economia del mondo, sarà più come prima.
A parte una dozzina di grillini e qualche loro collega di sinistra in libera usci ta, i parlamentari hanno capito e approvato l'appello di Draghi, compresi quelli - tra i più convinti - di Fratelli d'Italia, unico partito di opposizione. Tra tante incertezze almeno da oggi ne abbiamo due in meno: la prima è che l'Italia non fugge di fronte a scomodi doveri, la seconda è che con il senno di poi tenere Mario Draghi a Palazzo Chigi invece che spedirlo al Quirinale si è rivelata, all'insaputa del parlamento che l'ha fatta, una scelta provvidenzia.