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Green pass, Roberto Speranza è accerchiato: il retroscena dalle sacre stanze, chi vuole "cancellare" il ministro

Pietro Senaldi
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Forse c'è speranza; ma con la "s" minuscola, si capisce. C'è un'Italia, che non sta al ministero della Salute ma neppure abita nelle piazze di Paragone. È l'Italia, maggioritaria, che si sta accorgendo che la guerra è finita ed è quindi il momento di depositare gli elmetti anziché continuare a imbracciare il lanciafiamme o girare con cartelli deliranti; perché sennò si rischia di essere scambiati per figuranti dell'imminente Carnevale. Con la parola "guerra" intendiamo l'emergenza pandemica, da definizione del fu governo giallorosso, che così giustificava lessicalmente i suoi dpcm senza grande fondamento giuridico. Di fronte alla situazione drammatica abbiamo preso, e benedetto, misure estreme come il lockdown, l'obbligo vaccinale o il divieto di lavorare per chi non si è fatto l'iniezione salvifica. Noi di Libero siamo stati a favore di profilassi di massa e restrizioni. Poi abbiamo iniziato a batterci perché lo Stato non trattasse chi si è immunizzato, e perciò rischia di meno, come chi non lo è. Infine, abbiamo cominciato a sostenere che le restrizioni vanno allentate in corrispondenza alla diminuzione del virus, perché si giustificano solo come misure sanitarie, non devono avere natura politica e tantomeno punitiva.

 

 

Per questo, ormai due settimane fa, titolammo «Se finisce l'emergenza, via subito il Green Pass», auspicando per il 31 marzo, se non addirittura prima, la riammissione sul posto di lavoro dei cinquantenni non vaccinati. Eravamo soli, ora siamo in buona compagnia, se perfino il Corriere della Sera dedica una pagina a Susanna Tamaro che dice che è ora di finirla con il certificato verde o se Mattia Feltri sulla Stampa si lascia scappare che il talebano che è nei no vax è specularmente riscontrabile in qualche sì-sì-sì vax. In guerra ci sono cose consentite che fanno tutti e che però in tempo di pace sono prerogativa solo di criminali o invasati. Il partito del vaccino sta vincendo, il Covid arretra. La cosa peggiore che ora possono fare i vincitori è lasciarsi andare alla libidine della rappresaglia, non solo perché sarebbe ingiusto e non si addice a uno Stato democratico, ma anche perché sporcherebbe il trionfo. Il Green Pass è stato uno strumento di pressione sui cittadini perché si vaccinassero e di argine alla gravità del contagio.

 

 

Chi si è immunizzato ha potuto vivere quasi normalmente negli ultimi sei mesi e nella pressoché totalità dei casi, fatte salve gravi patologie pregresse, se si è contagiato non ha sviluppato il Covid in forma grave. Questo è stato il premio all'iniezione e tanto deve bastare; conservare il privilegio da Green Pass oltre il necessario non significa mantenere il patto con i cittadini vaccinati ma discriminare gli altri, e in uno Stato civile i diritti personali non possono nascere dalla violazione di quelli del prossimo.

In Svizzera, il Paese degli orologi, dove sono proverbialmente puntuali e precisi, da oggi sono cadute quasi tutte le restrizioni, perché è il tempo giusto per farlo. Noi, in ritardo sul mondo di almeno tre decenni, siamo fermi a un decreto deciso quando c'erano oltre duecentomila nuovi positivi al giorno e le disperanti cornacchie del governo ne prevedevano finanche cinquecentomila per queste settimane. I no vax hanno utilizzato argomentazioni deliranti, dai microchip nel braccio ai feti nei vaccini, per rifiutare di immunizzarsi. Hanno anche detto che il Green Pass sarebbe stato eterno in quanto è un modo per controllare ogni mossa della cittadinanza. Mantenerlo oltre lo stretto necessario significherebbe dare ai no vax una briciola di ragione. Non se la meritano; e soprattutto, non lo meritiamo noi, che abbiamo fatto tutto quello che ci è stato chiesto sulla fiducia, senza che fosse obbligatorio.

 

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