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Eutanasia, no al referendum. Perché ha ragione la Corte costituzionale: devono difendere i più deboli

Corrado Ocone
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C'è un giudice a Berlino, anzi a Roma. Si potrebbe commentare così la bocciatura da parte della Consulta del referendum sulla legalizzazione dell'eutanasia proposto dall'Associazione Coscioni. Ed è un commento non fuori luogo se solo si pensi un attimo al can can mediatico, al tifo da stadio, che ha accompagnato alcune recenti sentenze di giudici ordinari. Quando una decisione così drastica come quella del "suicidio assistito" viene annoverata nel paniere dei "diritti", di ciò che ci è dovuto in nome di una libertà assoluta che è diventata il suo contrario, e cioè arbitrio e licenza, è difficile sottrarsi alle pressioni della cosiddetta "opinione pubblica". I supremi giudici l'hanno fatto, e ne va dato atto alla commissione presieduta da Giuliano Amato (che qualche dubbio espresse a suo tempo anche sull'aborto). E l'hanno fatto non solo in nome di un diritto vero, che è quello alla vita, ma anche delle ragioni ultime dello Stato moderno, che nasce con Hobbes per proteggere la vita e non per dare la morte. Tanto più quando, come hanno messo in luce i giudici di Palazzo Fuga nella loro sentenza, da tutelare è la vita dei più deboli e indifesi, di chi è vulnerabile fisicamente ma anche psicologicamente. D'altronde, a ben pensarci anche il concetto di "consensuale" è aleatorio e il dominio sulla propria volontà lo si ha solo in condizioni di salute (oltre che di maturità). Lo Stato moderno ha una vocazione universalistica e perciò deve mettersi dalla parte di tutti, anche di chi è più debole. Tutto questo non significa che noi si voglia imprigionare sadicamente il sofferente nel proprio corpo, né si nega l'esistenza di casi estremi. Pretendere però che sia lo Stato a vidimare con un timbro quello che resta a tutti gli effetti un omicidio, e che il tutto avvenga coi tamburi battenti del Progresso, ci sembra un po' troppo. Certo, ora tocca al Parlamento dire la sua. La saggezza liberale consiglia però di non intervenire troppo su questi temi , limitandosi a stabilire con forza il principio generale della generale della tutela della vita e chiamando tutti ad affrontare certi temi con meno superficialità e più responsabilità

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