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Covid, Green pass e limitazioni. La verità? In Italia c'è chi gode nel vietare

Iuri Maria Prado
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Le restrizioni anti-Covid piacciono, e dispiace l'idea di dismetterle, perché secondo un inconfessato intendimento esse costituiscono altrettanti attuatori di uguaglianza sociale. Piace il potere di imporle, e piace vederle imposte, non perché esse adempiano a un fine profilattico e sicuritario, ma perché realizzano una malintesa specie di giustizia riducendo la società delle persone a una inerte uniformità bendata. L'utilità della mascherina era e continua a essere indubbia, ma a reclamarne l'adozione senza se e senza ma, ovunque e per sempre, era la foia per una funzione del tutto diversa: destituire di faccia, e cioè di individualità, la persona, sostituendola con l'attestato del potere pubblico che dà diritto di lavoro, movimento e ricreazione. Chi pure fosse stato completamente favorevole al regime delle restrizioni avrebbe ora modo di accorgersi che la riluttanza all'idea di attenuarle trova causa molto poco in preoccupazioni di ordine sanitario e molto più nel dispetto per dover rinunciare al regalo liberticida provvidenzialmente offerto dalla pandemia. Né ovviamente è solo il potere pubblico a recalcitrare. Perché l'ordinamento restrittivo ha fatto la gioia anche di molti che vi erano sottoposti, giacché nulla meglio delle abitazioni trasformate in carceri, nulla meglio dei posti di blocco, nulla meglio di una vita per tutti ridotta alla soddisfazione delle necessità alimentari e medicinali, dava ristoro agli arrabbiati col mondo, agli invidiosi, ai tanti che non sapendo cosa fare della propria libertà godevano nel vedere impedita quella degli altri,

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