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Grande Centro, grande equivoco: per rinforzare la gamba liberale non bisogna pasticciare sui valori

Giovanni Toti

Corrado Ocone
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L'equivoco del Grande Centro. Lo si potrebbe definire così. E non solo per la pur ovvia ragione che mai, o quasi mai, aggregando due o più sigle partitiche, il risultato elettorale sia stato una mera sommatoria dei precedenti voti di ognuna. Prima di ogni problema numerico, il Centro oggi in Italia (e non solo in Italia) non esiste culturalmente. 

 

 

Finito il tempo delle grandi culture politiche classiche, quelle che Renato Brunetta sogna di rivedere all'opera in una forza nuova ispirata all'"agenda Mattarella-Draghi", oggi l'Occidente politico è segnato da una frattura molto chiara: da una parte c'è chi fa propria una cultura progressista radicale, pronta ad azzerare e a ricostruire ex novo il nostro universo mentale e morale, oltreché a superare i rapporti di produzione del capitalismo; e dall'altra ci sono coloro che, pur non contrari al naturale evolversi delle società umane, ritengono che i processi sociali non vadano forzati politicamente e che comunque nella tradizione ereditata sia presente un deposito di esperienze e razionalità concreta che va compreso e rispettato. 

SINISTRA E DESTRA
In soldoni, da una parte ci sono i progressisti e dall'altra i conservatori, indipendentemente dal fatto che non sempre la sinistra e la destra di oggi abbiano gli stessi valori e priorità che avevano un tempo. Una dicotomia che in alcuni si è così radicalizzata e polarizzata da creare una incomunicabilità di fatto fra gli apostoli dell'una e dell'altra visione, come il caso degli Stati Uniti mostra platealmente. Non è un bene, ovviamente. E un appello alla moderazione, cioè l'esigenza di dare una consistenza maggiore alle posizioni meno radicali e di "centro", ha certamente un senso, oltre ad essere una via percorribile e per chi scrive persino auspicabile. Ma ad una precisa condizione: una cosa è il centro della destra e un altro quello della sinistra. 

 

Per dirla tutta, che familiarità politico-culturale potrà mai esserci fra una piccola forza di centro di ispirazione cattolica, come l'Udc, ed una forza di centro si ma decisamente impegnata sul fronte dei "diritti", compresi quelli all'aborto e all'eutanasia, come è + Europa? E lo stesso, seppure in modo meno marcato, può dirsi dell'aggregazione già in atto fra Italia Viva e Coraggio Italia. Qui non si nega che certe scelte, come quella fatta appunto da renziani e totiani, possa avere una qualche immediata utilità pratica o tattica. 

COMMISTIONI
Quel che si nega è che certe commistioni post-ideologiche possano avere vita lunga e rappresentare un antidoto alla crisi di un sistema politico sempre più segnato dal trasformismo e dall'opportunismo. Sulle politiche della vita, sull'economia, sui dettami del politicamente corretto, non si può non essere netti: osi sta da una parte, o dall'altra. Il problema del centrodestra italiano, per fare sempre un esempio, non è oggi quello di non avere idee precise, ovvero una cultura politica, ma quella di averla troppo sbilanciata sul fronte di un radicalismo che era il portato di un'altra stagione politica. 

Di qui una certa asimmetria fra il "centro" e la "destra" del centrodestra. Riequilibrare la barra sul centro, in questo senso, significa corrispondere meglio alle esigenze del tempo e di una constituency che è tradizionalmente nei ceti produttivi e nella borghesia, anche piccolissima, del lavoro e non dei sussidi. Una cosa è perciò rinforzare la "gamba" centrista, moderata e liberale della coalizione, un'altra proporsi di "restare di destra ma per allargare la coalizione a sinistra", per dirla con l'ossimorica e infelice espressione di Giovanni Toti. Credo che oggi gli italiani vogliano chiarezza e più non sopportino quelli che danno l'impressione di essere solo giochi di palazzo!

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