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Sergio Mattarella, la vergogna di un'accoglienza nordcoreana e il vero problema dell'Italia: la giustizia

Iuri Maria Prado
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Chi, ieri, fosse sopravvissuto alla vergogna dell'accoglienza nordcoreana offerta al discorso del presidente della Repubblica, e fosse dunque giunto in salute al punto in cui Sergio Mattarella ha preso a parlare di giustizia, avrebbe capito che il problema in Italia è mandare in porto la mezza manica di presunte riforme blindata dal governo sul presupposto che altrimenti non agguantiamo i soldi, cioè non ci carichiamo dei debiti, con cui l'Europa premia il modello italiano. Ma i principi evocati da Mattarella, dalla civiltà che dovrebbe governare il sistema carcerario alla necessità che i centri di potere della magistratura non si segnalino per le soperchierie di cui hanno dato prova, non saranno riaffermati da quei modesti interventi normativi.

 

Perché a vanificarli, perlopiù, non sono leggi inadeguate, ma l’abitudine della magistratura a mettersi sotto i tacchi le leggi che esistono già. Una buona quota dell’ingiustizia italiana non proviene infatti da leggi ingiuste, ma dal fatto che sono violate quelle esistenti: a cominciare dalla suprema, la Costituzione, che non prevede magistrati rivoluzionari che fanno conferenze stampa a margine dei rastrellamenti, non prevede il capo della Cassazione in veste di editorialista che spiega dal Corriere della Sera com’è stato perfetto il processo con cui si è fatto fuori Palamara, non prevede il pubblico ministero che dalla televisione di Stato tiene requisitorie sulle indagini che ha in corso, non prevede lo scambio di veline tra parlamentari e magistrati sulle scale del Consiglio superiore della magistratura, non prevede praticamente nulla dello spettacolo cui invece tocca assistere. Prevede almeno un’altra cosa, la Costituzione. Che quegli spropositi non abbiano corso in modo impunito e nel silenzio tra un’occasione d’applauso e un’altra.

 

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