Matteo Salvini e Giorgia Meloni, due capi e due strategie: la sfida finale dall'esito del tutto incerto
È scoppiata la guerra fratricida. Il leader leghista risale sulla ruspa, ma stavolta per muovere contro Fratelli d'Italia. «Giorgia è un'amica» aveva risposto a caldo Salvini alle critiche della Meloni per aver votato il bis di Mattarella. Il giorno dopo deve averci ripensato. E così, mentre lui si promette di rifondare il centrodestra, i suoi capigruppo si preoccupano di tagliare i ponti sia con la destra sia con il centro. Da una parte l'ex ministro dell'Interno, lanciando il Partito Repubblicano all'americana, «che federi liberali, garantisti e cattolici», specifica che la sua offerta si rivolge «alle forze che appoggiano il governo Draghi» ed esclude implicitamente Fdi. Dall'altra parte, Romeo e Molinari escono con un comunicato che accusa Fdi e centristi di «aver tradito e voler distruggere il centrodestra», definendo i primi «estremisti legati a ideologie sconfitte dalla storia» e i secondi «trasformisti dell'ultima ora». A stretto giro di posta, La Russa consiglia il segretario del Carroccio di «prendersi una pausa di riflessione» mentre Giorgia, dopo aver definito «folle» l'ultima iniziativa dell'ormai ex alleato, si dichiara «molto arrabbiata».
In mattinata, il terzo cofondatore di Fdi, Crosetto, aveva fatto capire che la Meloni non intende farsi schiacciare a destra ma lancerà ami all'elettorato moderato. Si salvi chi può. Volano fendenti, ma almeno, per la prima volta in quattro anni, si capisce qualcosa nel centrodestra. Salvini è intenzionato a confermare la scelta che fece lo scorso febbraio, quando decise di sostenere Draghi, per la gioia del suo braccio destro, Giorgetti, e dei suoi governatori del Nord. Via la felpa, è ora di giacca e cravatta e di proporsi come interprete non solo di lavoratori e piccole e medie aziende, ma anche dei salotti buoni, che non possono trovare rappresentanza nelle creature magmatiche che abitano il centro nostrano e neppure, secondo la visione di Salvini, in Fdi. Il leader leghista sa che più d'uno nel partito non ha gradito la sua gestione della settimana quirinalizia ma è convinto che la miglior difesa sia l'attacco; per questo va giù con il lanciafiamme. Matteo inizia una sfida lunga e complicata, consapevole di avere più rivali che alleati, ma lui sostiene di essere interessato «solo agli amici giusti». Le prime reazioni al Partito Repubblicano fuori dalla Lega sono tiepide. La speranza è che la costituenda creatura non si risolva in un Ulivo del centrodestra.
L'accusa di incarnare un estremismo legato al passato è la peggiore che si possa fare alla Meloni, un attacco ingeneroso, che manda in sollucchero il partito di Repubblica più che quello Repubblicano. La leader della destra considera l'uscita dei capigruppo leghisti peggio di un atto di guerra, una vigliaccata assoluta, un sabotaggio al suo tentativo di rinnovare il partito e aprirlo a esponenti dell'area moderata. Anche Giorgia è attesa da un percorso lungo e dall'esito finale incerto. La coerenza, il no a Mattarella e il fatto di rimanere la sola leader all'opposizione l'ha già fatta crescere ulteriormente nei sondaggi, ma è evidente anche a lei che gli ostacoli veri non stanno nei primi chilometri. Secondo la visione della leader della destra, la politica non è aritmetica ma contenuti, per questo l'iniziativa della federazione repubblicana è destinata al fallimento, in quanto unione di debolezze. La sfida per lei sarà confermarsi primo partito in Italia tra un anno e farsi dare l'incarico per costituire il governo dal presidente Mattarella trovando qualcuno disposto a dare i numeri per essere maggioranza e governare. Il primo duello si consumerà sul territorio, dove negli ultimi anni FdI è riuscito ad attrarre una parte della classe dirigente azzurra. Ma Lega e Forza Italia potrebbero unirsi per fermare la sua marcia. E ieri è parso di capire che i colpi bassi sono ammessi.