Quirinale, la lezione di Vittorio Feltri ai colleghi: "Date contro a Mario Draghi perché non si esprime? Avete torto marcio"
Quasi tutti i giornalisti, e non solo loro, se la sono presa con Mario Draghi perché si è rifiutato, nella sua conferenza stampa recente, di rispondere a domande riguardanti il prossimo presidente della Repubblica. Hanno criticato aspramente il premier dicendo che quando un cronista pone una domanda a un uomo di potere questi è obbligato a fornire una risposta invece di tergiversare. Ma nel caso specifico i colleghi della stampa hanno torto marcio. Mentre il presidente del Consiglio ha perfettamente ragione: egli, infatti, non è un candidato al Quirinale, come non lo è nessuno, visto che a votare l'uomo da inviare al Colle è il Parlamento, quindi non esistono candidati personaggi che possano autopromuoversi.
Solo i deputati e i senatori, nonché i grandi elettori delle regioni, hanno facoltà di scegliere il capo dello Stato. Non è ammissibile che un politico o una persona qualunque si proponga quale vertice delle istituzioni. La Costituzione in questo senso parla chiaro. Ecco perché Draghi, rispettoso della Carta, non ha voluto esprimersi sulla prossima elezione del garante dell'unità nazionale. Altro che dire: egli ha sbagliato a non fornire delucidazioni sulla sua eventuale nomina a padrone del Colle. Si è limitato ad attenersi alle regole. Supermario avrebbe errato gravemente se si fosse sponsorizzato, dato che non tocca a lui proporsi per l'alto ruolo, ma spetta ai parlamentari esprimersi con suffragi segreti.
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A Draghi si può insegnare a governare e anche a gestire una conferenza stampa, ma non certo a comportarsi in linea con il dettato costituzionale che conosce più di tutti i suoi censori. Invitiamo pertanto i colleghi giornalisti a tenere il becco chiuso su questo argomento che li trova impreparati. Draghi è tenuto a spiegare il perché di ogni iniziativa approvata dal governo, anche la più complicata, ma chiedergli di raccontare se sarà o meno il prossimo presidente degli italiani è fuori da ogni logica. Non sarà lui bensì i partiti a decidere il suo destino, ammesso che egli sia d'accordo con loro. Non è lecito attribuire al premier la facoltà di cambiare ruolo.