Quirinale, Mario Draghi in dirittura di arrivo: ma il suo lavoro è davvero finito?
Cric e Croc, Davide e Golia, i due nemici, i nonni delle istituzioni che si guardano in cagnesco: in queste settimane calde, Draghi e Berlusconi sono stati descritti come irriducibili avversari pronti a contendersi lo scettro quirinalizio più di tutti gli altri candidati in lizza. Una specie di Ok Corral all'ultimo sangue. Ma la verità è un'altra: basta rileggere le cronache italiche degli ultimi tre lustri per rendersi invece conto che proprio quello che oggi viene dipinto come l'antagonista numero uno di Supermario, il Cavaliere, è stato in realtà il suo grande sponsor in almeno cinque occasioni. Se i nemici sono questi, non ci sarebbero più guerre nel mondo... La prima volta che Silvio spese una parola, anzi più di una, a favore di Draghi fu nel 2005 quando lo candidò (con successo) al vertice della Banca d'Italia che aveva bisogno di un governatore forte per poter uscire dalle secche della gestione di Antonio Fazio. E fu quella una grossa scommessa vinta da Berlusconi perché l'attuale premier veniva allora considerato da molti quasi uno straniero in Italia: anche se suo padre aveva lavorato nell'istituto centrale, Mario aveva fatto carriera oltreoceano tanto che gli americani lo chiamavano "the unitalian".
Il Cavaliere c'aveva visto giusto e nel 2011 fece il bis mettendolo in corsa (anche in questo caso con successo) per il vertice della Bce. Squadra vincente non si cambia: mentre Supermario sedeva all’ultimo piano del grattacielo di Francoforte, Berlusconi lo candidò proprio per quella poltrona quirinalizia che li vede oggi potenziali concorrenti. Ma fu Draghi (quella volta) ad aprire la strada a Mattarella rifiutando l’offerta perché era troppo preso, disse, dai problemi europei. Silvio ci riprovò nel 2017, quando, con il governo Gentiloni ormai traballante, propose un esecutivo di larghe intese guidato sempre da Supermario, ma quest’ultimo si tirò nuovamente indietro per completare l’opera alla Bce.
Arcore ha infine indicato il nome dell’allievo di Franco Modigliani, all’inizio del 2021, per Palazzo Chigi, una proposta recepita da Mattarella: Draghi, ormai da tempo pensionato in Europa, questa volta disse sì. Al di là delle prossime mosse, sorge spontanea qualche domanda: perché, quando era a Francoforte, Draghi ha respinto due avances sostenendo che la crisi congiunturale non era ancora finita,mentre stavolta ha detto che il suo lavoro è in dirittura d’arrivo anche se sta imperversando la quarta ondata pandemica? L’emergenza Covid di oggi è forse meno grave dell’emergenza economica dell’altro ieri?