Ezio Mauro, l'ultimo giapponese ne prenda atto: la guerra a Silvio Berlusconi è persa
Non sono mai arrivati gli americani in Largo Fochetti, oppure se hanno suonato nessuno ha loro aperto. Fatto sta che nella redazione di Repubblica non sanno che la guerra è finita. E che loro, per inciso, l'hanno persa. La guerra è quella progressista contro il "berlusconismo", il penultimo Male assoluto nella pubblicistica mainstream, prima che comparisse lo spettro del "sovranismo". Da quelle parti il reducismo, prima ancora che le truppe, monopolizza lo Stato maggiore, e ce ne ha fornito ieri una spettacolare prova Ezio Mauro, l'ultimo giapponese della nostra guerra civile, l'Hiroo Onoda (il militare convinto di combattere lo Zio Sam nella giungla filippina fino al 1974) dell'antiberlusconismo.
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La miccia che riaccende le ostilità è la possibilità che il Cavaliere salga al Colle, che i republicones definiscono ridicola e a cui dedicano 17 editoriali al giorno (pensa se non lo era). Quello di Ezio-Hiroo sembra uscire dai primi anni Duemila, quando Whatsapp esisteva al massimo nella mente di qualche sciroccato californiano, ed è un campionario della retorica bellica dell'epoca.
Parte con un classicissimo del genere, le telefonate angosciate con cui i «giornalisti stranieri» assillano Mauro, increduli per il ritorno di Silvio. Dopodiché si riesumano in serie «il grandioso conflitto d'interessi» (detto da un tizio che dirigeva un quotidiano edito da un altro tizio che rivendicava la tessera numero 1 del Pd), «lo strapotere economico» (detto da uno che sermoneggia su una testata posseduta dalla cassaforte della famiglia Agnelli), «l'abuso mediatico» (è sempre lui che scrive, il Mauro che applicava il guardonismo spinto a ritrovi tra adulti), e le sempiterne «cene eleganti» culminanti nel «bunga bunga», strettissima attualità in era pandemica. È come una macchina del tempo ingolfata, la coazione a ripetere del 2011, la difesa dell'arcipelago dagli yankee immaginari.
E la tragedia vera, per Ezio-Hiroo, è che la guerra non solo è finita da tempo, ma politicamente l'ha vinta quell'altro, l'Orco, il Caimano. La realtà rimane infatti refrattaria alle loro articolesse e parla, ad esempio dice che gli eredi dei due soggetti anti-sistema sdoganati da Berlusconi (la Lega e An) oggi sono due dei primi tre partiti italiani, avendo essi archiviato eccessi secessionisti e nostalgie cameratesche grazie a una cultura di governo che è stata resa possibile solo dalla lucidamente folle (erasmiana, direbbe il protagonista) "discesa in campo".
Si è inventato il bipolarismo e ha salvato quella democrazia di cui i Mauro disquisiscono da un quarto di secolo, il Cavaliere oscuro. L'uomo scelto per gestire la peggiore emergenza del Dopoguerra è quel Draghi che il Berlusconi premier ha sempre sostenuto nella sua carriera di grand commis, fino alla sponsorizzazione esplicita per il ruolo di governatore della Bce. La rivoluzione liberale non si è attuata, ma in compenso delle parole d'ordine "liberali" si sono appropriati quasi tutti, specie chi liberale non lo era, segno che, se non un'egemonia, Silvio dal 1994 ha almeno imposto uno spirito del tempo. Forza Italia, poi, è ormai ufficialmente un elemento di stabilizzazione del sistema, il contrario dell'anomalia urlata in prima pagina per 25 anni da Repubblica. Il Caimano esisteva solo nella loro testa, ed è per questo che non riescono a fare l'unica cosa sensata: sciogliere le righe, e prendere atto che la guerra è finita.