Mario Draghi, Alessandro Sallusti: "Gli interessi della grande finanza internazionale nel sostenerlo ed esaltarlo"
Per la comunità internazionale siamo il "Paese dell'anno", così almeno ha decretato The Economist, certificato di recente come la più autorevole fonte di informazione di economia politica. Per Maurizio Landini invece, Mario Draghi ci ha portato sull'orlo di un baratro, anche se va detto che lo sciopero generale da lui indetto, ieri è stato un grande fiasco. A chi dei due credere? Personalmente a nessuno dei due, quantomeno non alla lettera, anche se ovviamente il giudizio dell'Economist mi inorgoglisce mentre l'allarme di Landini mi fa cadere le braccia.
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Cosa intendo dire? Noi che il Paese lo viviamo sul campo ben sappiamo che Draghi è molto bravo e ha fatto tanto ma non è Babbo Natale e che la sua Italia non è il Bengodi. La grande finanza internazionale, attraverso i suoi mezzi di informazione, ha ovviamente i suoi interessi a sostenere ed esaltare uno come Draghi che parla la sua lingua, e non mi riferisco a quella inglese. E più che un elogio, l'inaspettato premio ricevuto forse non a caso ieri, conoscendo un po' i meccanismi della comunicazione, proprio per contrappore sulle prime pagine e nei tg la faccia rassicurante di Draghi al faccione minaccioso di Landini, appare come una forte pressioni affinché Draghi non molli la sedia dove è seduto, in altre parole che stia a Palazzo Chigi e non vada al Quirinale a tagliare nastri e girare i pollici.
Perché altrimenti si corre il rischio che, a prescindere di chi prenderà il suo posto, l'Italia venga rapidamente risucchiata nel grigio mondo di Landini e della Cgil, cioè in balia di quel vetero sindacalismo assistenzialista e auto referenziale che ieri abbiamo visto all'opera nelle piazze italiane sia pur in misura molto ma molto minore di quanto fosse stato annunciato e sperato dai promotori. Quello che The Economist non sa o non dice è che la variabile Draghi, certamente benedetta, è comunque a tempo - al massimo un anno ancora, per di più un anno di campagna elettorale - almeno che lui non decida di mettersi a capo di un partito o di uno schieramento e affrontare il giudizio delle urne. Mentre Landini, o chi per lui, ahimè ce lo dobbiamo tenere a vita. E più le cose andranno bene più lui aizzerà le piazze per non perdere identità e potere. A noi, che non andiamo in piazza e non leggiamo The Economist in fondo cambia poco e come al solito non ci resta che incrociare le dita.