Vaccino e terza dose, ciò che non è stato detto ai cittadini: quella "verità mancante"
La realtà è che dirla tutta e chiaramente faceva male, e quindi si è preferito dirla a metà e confusamente. Cosa? La solita verità. E la verità era che l'uno-due del primo ciclo di vaccinazione costituiva un adempimento necessario ma non sufficiente. Quando questo è stato certo, tutto si è fatto tranne che divulgare quella certezza: si temeva infatti che il numero degli indecisi e dei riluttanti s' ingrossasse davanti alla scoperta che la prima coppia di inoculazioni dovesse essere sostenuta da un richiamo.
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Un timore comprensibile, ma che non avrebbe avuto ragion d'essere se si fosse scelto di rappresentare il vaccino come un utile presidio, di documentata efficacia: che, come nel caso di tanti strumenti analoghi, abbisogna di aggiustamenti, manutenzione, calibrature. Si è scelto invece di farne un attrezzo simbolico e miracolistico, simile alla pozione di Obelix che non deve più assumerla perché ci è caduto dentro da piccolo.
Nell'idea, appunto, che se si fosse raccontata la verità - e cioè che non si trattava del siero che rende immortali, ma di un notevole aiuto a evitare guai - la campagna vaccinale sarebbe stata meno pervasiva e la quantità dei dubbiosi sarebbe aumentata. Piuttosto, sarebbe stato necessario dire ai cittadini che quanto era stato fatto ancora non bastava, e che occorreva ancora rimboccarsi le maniche.