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Mario Draghi e il boom economico: così i partiti stanno frenando la ripresa

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Mario Draghi

Giuliano Zulin
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Forse bisogna tornare agli anni '80 o addirittura ai primi anni '60 per trovare una congiuntura così favorevole per l'Italia. I tassi, ovvero il costo del denaro, sono a zero e ci resteranno per un altro annetto almeno. Significa che il nostro debito pubblico è meno pesante da gestire. L'inflazione, nonostante i balzi dell'energia e delle materie prime, è ancora sopportabile: 3%. In Germania, per dire, siamo già oltre il 4% e negli Usa al 6,2%. Il Pil (+6,1%) aumenta a un ritmo triplo di quello tedesco e ben al di sopra della media europea. La potenzialità di crescita pare rallentare, proprio in virtù del caro-bollette e del rincaro spaventoso di alcuni materiali. Colpa anche della svolta troppo repentina verso il green.

Tuttavia, visto cosa sta accadendo nell'Europa centro-settentrionale (nuovi lockdown), probabilmente la nostra economia beneficerà dei rallentamenti altrui. Paradossalmente stiamo vivendo un eccesso di ripresa: troppi ordini, costi in crescita e manodopera qualificata (ma anche non qualificata) che si trova con fatica. Non parliamo della pressione fiscale, che rimane un problema, ma ormai ci abbiamo fatto il callo. Gianni Tamburi, il più grande investitore finanziario italiano, ha prospettato una ripresa a "L" rovesciata per l'Italia per altri due anni. Cioè, volenti o nolenti, cresceremo. Potremmo addirittura assicurarci crescita per decenni, se solo i partiti abbandonassero il loro hobby, ovvero far nulla. Draghi non è certamente un mago, ma il suo curriculum dà fiducia a imprenditori e investitori nazionali o internazionali. La parola chiave è "fiducia", quella che non esprimono i leader parlamentari, troppo affaccendati a tramare su chi bruciare in vista dell'elezione del nuovo capo dello Stato.

Ora, se il governo accelerasse veramente sulla creazione della struttura capace di far funzionare il Recovery (sveglia), saremmo a cavallo. Però la politica, nel senso di mercato delle vacche, teme che se Draghi riuscisse veramente nell'approntare la svolta italica, non avrebbe più chance. D'altronde il prossimo premier sarà sempre paragonato, in negativo, all'attuale presidente del Consiglio. I partiti dunque frenano, ma perché mai non cercano di imitare il premier? Sulle pensioni si aspetta Draghi, ma il Parlamento non potrebbe iniziare a ragionare su una riforma duratura in autonomia? Sulle tasse i partiti parlano col ministro Franco, però sarebbe possibile discutere di un nuovo fisco realistico, non basato sulla luna - senza coperture - come il documento uscito dalle commissioni Finanze in estate... Stesso discorso per le bollette. Ci sarebbe l'occasione storica, come durante la Costituente, di cambiare l'Italia prima delle elezioni, di dimostrare all'Europa che non siamo cialtroni. Eppure si continua a sbagliare e a innervosire il premier. Ovvio che Draghi è meglio, ma lui passerà. Resteranno invece i partiti. E noi, chiamati a pagare gli errori dei politici. Stiamo sprecando un momento d'oro.

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