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Federalismo, perché bisogna insistere nonostante brigantaggio e pandemia: la lezione di Carlo Cattaneo

Francesco Carella
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Vi è un comune denominatore fra il brigantaggio e la pandemia da Covid. Entrambi hanno contribuito, seppure involontariamente, a bloccare il cammino del federalismo in Italia. Infatti, fu proprio l'insurrezione anti-piemontese in alcune regioni del Meridione fra il 1861 e il 1865 a fare riporre nel cassetto il progetto elaborato dal ministro Marco Minghetti incardinato sull'idea che per il giovane Regno d'Italia fosse più congeniale una forma istituzionale che tenesse in debito conto le molteplici tradizioni della Penisola. La qual cosa non è dissimile dalla richiesta, prima che il Coronavirus sconvolgesse l'agenda politica, avanzata dalla Lombardia, dal Veneto e dall'Emilia Romagna. Minghetti si rifaceva all'insegnamento di Carlo Cattaneo, il quale già nel 1848 scriveva che «ogni popolo può avere interessi da trattare in comune con altri popoli, ma vi sono interessi che può trattare egli solo, perché egli solo li sente e l'intende». I timori di una possibile evoluzione in senso secessionista della rivolta dei briganti indusse la maggioranza parlamentare a scegliere un modello amministrativo centralizzato, ma la sconfitta dell'esponente della Destra storica non coincise con la scomparsa dell'idea che propugnava. Del resto, il dibattito se per una maggiore funzionalità dello Stato fosse preferibile una dimensione federale in luogo della centralizzazione dei poteri attraverserà l'intera storia d'Italia.

 

 

ANNI NOVANTA
Il tema è ritornato in primo piano a partire dai primi anni '90, per sfociare nella recente richiesta di una maggiore autonomia territoriale da parte di tre regioni del Nord. D'altronde, del fatto che fosse opportuno che l'Italia affidasse maggiori poteri alle entità periferiche ne erano convinti personalità di indiscusso valore intellettuale come Gaetano Salvemini, Don Luigi Sturzo, Carlo Rosselli, Emilio Lussu. Essi credevano fermamente che occorresse individuare nella regione «l'organismo più adatto per garantire l'unità politica in forza della storia, della geografia e della lingua».

 

 

 

In tal senso, si espressero in sede di Assemblea costituente sia Piero Calamandrei che il futuro capo dello Stato Luigi Einaudi. Ma non se ne fece nulla. Nondimeno, il legame fra la crisi del sistema Italia e il superamento della stessa per mezzo di una diversa articolazione centro-periferia rimase vivo, anche se sotto traccia, per alcuni decenni, fino ad imporsi di nuovo nell'agenda pubblica grazie alle iniziative della Lega. Il resto è cronaca degli ultimi due anni. Allo stato delle cose, la speranza è che il tema non venga abbandonato, così come è accaduto in passato, e che venga affrontato senza ambiguità ricordando la lezione di Carlo Cattaneo secondo cui «il diritto federale, ossia il diritto dei popoli, deve avere il suo luogo accanto al diritto della nazione. Uomini frivoli contestano tutto ciò con l'argomento che si tratta del sistema delle vecchie repubblichette. Risponderemo ridendo e additando loro l'immensa America».

 

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