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Enrico Letta taglia i ponti con Matteo Renzi? Un suicidio perfetto: perché gode il centrodestra

Fausto Carioti
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Il dialogo tra Matteo Renzi e Matteo Salvini era iniziato mesi fa. Nulla a che vedere con quel patto d'acciaio di cui i loro nemici raccontavano. Però un reciproco annusarsi c'era stato e gli scambi di messaggi tra i due erano frequenti, come naturale: con Enrico Letta avvinghiato a Giuseppe Conte, al leader d'Italia viva non restava altra sponda che il centrodestra di governo. E' durata sin quando il capo della Lega non ha voluto gareggiare con Giorgia Meloni a chi cavalca meglio la protesta contro il Green pass. A quel punto, raccontano dalle parti dell'ex sindaco di Firenze, «Renzi è andato in difficoltà per le sbandate di Salvini e si è trovato costretto ad esplorare il canale che porta a Letta». Si deve anche a questo la decisione di Renzi di appoggiare la candidatura del capo del Pd («Se io fossi un senese, voterei per lui») e di allearsi coi democratici alle Comunali, ovunque fosse possibile.

 

 

 

L'avvicinamento consentiva al segretario del Pd di tentare il colpaccio: tenere nella stessa alleanza Italia viva e i Cinque Stelle, oltre al partitino di Carlo Calenda e a qualche cespuglio rosso. Operazione necessaria per reggere il confronto col centrodestra, visto che Pd, M5S e Leu, insieme, hanno solo il 40% degli attuali parlamentari e il 37% delle intenzioni di voto. La coalizione ultralarga progettata da Letta, insomma, sarà pure stata un'accozzaglia di personaggi e partiti che non si sopportano, ma era anche un modo per non soccombere nelle votazioni per il presidente della Repubblica e poi, quando sarà, nelle elezioni politiche. Tutto saltato assieme al disegno di legge sulla "omotransfobia". Dopo il numero due del Pd, Giuseppe Provenzano, che ha accusato Italia viva di «gravi complicità con la destra», e gli anatemi degli Zan e delle Cirinnà, sono arrivate le parole dello stesso Letta: «Si è sancita una rottura, anche di fiducia, a tutto campo, con Italia Viva». E' la scelta più facile. Anziché prendersela con i calcoli sballati della capogruppo Simona Malpezzi, che prima del voto dispensava sicurezza («li asfaltiamo, tranquilli»), o con la propria strategia, Letta preferisce individuare un colpevole esterno, fingendo di non sapere che i franchi tiratori sono stati molti più dei senatori di Italia viva, e che pure dentro al Pd ci sono cattolici che quel testo non lo digeriscono.

 

 

 

E' una decisione che ha un prezzo, però. Si tagliano i ponti con Renzi accusandolo di essere in combutta col centrodestra, e così facendo non gli si lascia altra scelta che rafforzare davvero il rapporto con Silvio Berlusconi e i suoi alleati. La data delle Politiche è lontana, ma l'elezione del capo dello Stato inizierà tra tre mesi. Al Cavaliere mancano tra i 50 e i 60 parlamentari per raggiungere la soglia dei 505 voti, sufficiente per vincere la corsa a partire dal quarto turno. E Renzi e i suoi, come Berlusconi sa bene, sono 43. In ogni caso, già sapere che il senatore di Rignano non sarà in squadra col segretario del Pd, e che probabilmente gli organizzerà qualcuno dei suoi scherzi, apre nuove opportunità ai leader del centrodestra. Il secondo regalo fatto da Letta in due giorni, e Dio sa quanto ne avevano bisogno.

 

 

 

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