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Mps, una telenovela senza (lieto) fine: tutti i piani falliti e le colpe della sinistra

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Giancarlo Mazzuca
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E' proprio vero che Il potere logora chi ce l'ha. E' il caso del Monte dei Paschi, considerato da anni un feudo "rosso", che, nella sua "via crucis", ha perso qualcosa come 30 miliardi puntualmente a carico dello Stato, cioè noi. La vicenda della banca più antica d'Italia assomiglia molto a quella dell'Alitalia, una "telenovela" pubblica senza fine, ma con una differenza: mentre l'ex-compagnia di bandiera sembra avere finalmente trovato la rotta giusta con il recentissimo decollo di Ita (speriamo bene ...), l'istituto senese pare volare ancora con il radar fuori servizio. 

 

Prima dell'ultimo stop deciso da Unicredit, sono stati, in effetti, davvero tanti i piani messi in piedi negli ultimi anni per cercare di salvare la banca toscana da J.P. Morgan e Mediobanca a quello dell'ex olivettiano Corrado Passera, dal finanziere americano Soros al Qatar con i suoi petrodollari -, ma qualsiasi operazione non è mai andata a buon fine tanto che, nel frattempo, lo Stato si è dovuto accollare la maggioranza azionaria di Rocca Salimbeni per non farla affondare definitivamente. Molti si sono chiesti per quale dannato motivo, al di là delle cifre che hanno fatto sempre più acqua, nessun tentativo sia mai andato in porto. Forse una ragione c'è: nelle diverse trattative ci sarebbero stati troppi lacci e laccioli. Così si spiegherebbe anche la rinuncia dell'Unicredit dopo una breve tregua nel negoziato con lo Stato coincisa con la fumata bianca per l'elezione di Enrico Letta alle suppletive di Siena. 

A ripercorrere gli ultimi anni di Mps, la Commissione Europea era già intervenuta più volte per cercare di mettere ordine nell'istituto ma senza risultati tangibili tanto che ora il governo Draghi, oltre a sborsare altri soldi, dovrà nuovamente bussare alle porte di Bruxelles e di Francoforte per poter ottenere l'ennesimo periodo di moratoria in attesa che si trovi qualche nuovo pretendente. Sì, sembra proprio che ci sia una certa dose di masochismo nelle vicende dell'istituto toscano. Non credo che sia così, ma quando nella cessione ci sono tante interferenze e si pongono troppi pali e paletti, un dubbio ti può venire. Non è un caso che, per il salvataggio della banca, adesso si sia fatto avanti anche l'Unipol, ovvero la punta di diamante di quella finanza colorata di rosso che aleggia su Mps. 

 

Come dire: la roccaforte senese deve, comunque, restare nostra. Perché proprio la compagnia d'assicurazioni emiliana, tanto per cambiare, fu protagonista, sedici anni fa, di un altro tentativo d'acquisto, quello della Bnl. Chi non ricorda la telefonata dell'allora segretario dei Ds, Piero Fassino, all'amministratore delegato dimissionario di Unipol, Gianni Consorte, con la famosa frase: «Ma abbiamo una banca?». Anche oggi il messaggio sembra molto simile: cerchiamo di tenerci Mps, costi quello che costi. Tanto paga Pantalone, ovvero i poveri contribuenti.

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