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Matteo Salvini scorda il Green pass: la Lega ritorna sulla terra

Fausto Carioti
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La battaglia contro l'obbligo di Green pass non ha fatto bene alla Lega. Lo dicono i sondaggi e lo ha certificato il primo turno del- le amministrative, dove la debolezza di molti candidati del centrodestra è stata il problema più evidente, ma non l'unico. Le ragioni sono almeno due. La prima è che Mario Draghi, detta senza giri di parole, se ne è infischiato delle obiezioni sollevate da Matteo Salvini riguardo al certificato verde. Il premier ha tirato dritto con il consenso del resto della maggioranza (inclusa Forza Italia, che della Lega è la principale alleata) e i fatti, visto anche quello che è successo ieri, sinora premiano la sua linea. Il Carroccio, dunque, ha fatto tanto rumore per nulla. La seconda ragione è banalmente numerica. Quaranta milioni di italiani al di sopra dei 18 anni, ossia l'86% del totale, hanno completato il ciclo vaccinale e dunque dispongono del codice abarre necessario per lavorare, mangiare al ristorante o andare al cinema. Difficile, per non dire impossibile, che si appassionino al dissenso su una questione che hanno già risolto decidendo che la cosa migliore è vaccinarsi e mostrare il Green pass quando richiesto. Quella leghista, quindi, è stata una battaglia minoritaria: ideale per una formazione piccola, non per una forza che ha l'ambizione di governare il Paese. Serve un cambio di strategia, il ritorno a temi nei quali le partite Iva e la media borghesia del Nord possano identificarsi. E ora, finalmente, qualcosa s' è mosso. Contravvenendo alla vulgata che lo vuole più vicino a Draghi che a Salvini, ieri il Il leader della Lega, Matteo Salvini, ieri infuriato per il reddito grillino ministro leghista Giancarlo Giorgetti, d'intesa col segretario, ha puntato i piedi in consiglio dei ministri contro il rifinanziamento del reddito di cittadinanza: 200 milioni di euro tolti ad altri stanziamenti, destinati ai lavoratori. «Beffardo», ha accusato Giorgetti, «usare per una misura simile i soldi di chi ha lavorato duramente».

 

Draghi e il ministro dell'Economia, Daniele Franco, hanno avallato lo spostamento di fondi, garantendo che erano stati assegnati a capitoli di spesa sovrastimati e che dunque non sarà tolto nulla a nessuno. Ma quei soldi sono solo per il 2021, e la partita vera riguarda ciò che accadrà al reddito di cittadinanza da gennaio. Il premier ha assicurato la prebenda verrà ridiscussa all'interno della manovra di bilancio relativa al 2022, dunque molto presto. Sarà lì che i leghisti dovranno imporsi, forti del fatto che i loro argomenti sono condivisi da moltissimi italiani e che sulla stessa posizione, come si è visto ieri, si trovano i ministri di Forza Italia e quelli di Italia viva. Anche sulla pressione fiscale c'è spazio per una battaglia "identitaria" e politicamente remunerativa. La delega chiesta al parlamento dal governo assegna a quest' ultimo la facoltà d'intervenire sulle accise dei prodotti energetici, e in nome della «riduzione progressiva delle emissioni di gas climalteranti» l'esecutivo pare intenzionato ad aumentare l'imposizione sul gasolio, penalizzando ulteriormente gli automobilisti e le imprese di trasporto, che già pagano salato il rincaro del petrolio. Ma non era Draghi quello che aveva promesso di non innalzare le tasse? Una ferma opposizione all'assistenzialismo e al torchio fiscale consentirebbe a Salvini e ai suoi di intercettare i bisogni degli elettori, contrastare l'asse statalista formato da Pd e M5S, rinsaldare il rapporto con Forza Italia e sfilare i renziani dall'orbita dei democratici. È una strada che promette di dare parecchie soddisfazioni, insomma. Più di quelle che la Lega ha ottenuto battendosi contro il Green pass, senza dubbio. 

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