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Gli assalti dei "no Green pass" e quelle stanche simbologie antifasciste della sinistra

Iuri Maria Prado
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Un conto sarebbe se la sinistra italiana incalzasse la destra denunciandone i difetti effettivi e sfidandola a porvi rimedio: impugnerebbe in tal modo un pungolo ben meritato dal vago complesso conservatore che non raramente cede alla tentazione statalista, ai richiami della caverna identitaria, a un bigottismo inaderente perfino alle maggioranze che ancora - si vedrà per quanto - assegnano preminenza a quello schieramento. Ma un altro conto è avversarlo con la stracca agitazione della simbologia antifascista, con la retorica da 25 aprile che al corteo di braccia tese oppone la allegra sassaiola sulla Brigata Ebraica.

 

 

Le leggiadrìe antisemite dei sottosegretari 5Stelle e degli schedatori della Casaleggio Associati, così come la risulta tossica dell'antiparlamentarismo plebeo insorgente dalle piazze del vaffanc***, non hanno mai inibito i desideri dei lumi progressisti di darsi all'affascinante avventura con quella pericolosa schiatta di analfabeti: ma l'evidenza di qualche tatuaggio sulle membra di un po' di spostati e l'azione dei balordi che sfogano in una sezione sindacale un teppismo fungibile, da stadio o da rissa di periferia, diventano la riprova dell'impresentabilità della destra e denunciano l'urgenza di fortificare i pilastri della Repubblica Bella Ciao.

 

 

Poi se la destra vuole la nocciola autarchica, la nazionalizzazione dei marchi storici, così deperiscono italianamente, e la solita dissipazione di risorse nel carrozzone pubblico, alla sinistra va davvero benissimo. Non è quello il pericolo, anzi: il pericolo è che Matteo e Giorgia, se non li fermiamo, trasformano le aule arcobaleno in un bivacco di teste rasate. 

 

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