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Green pass, Pietro Senaldi contro Maurizio Landini: se il sindacalista boicotta la sicurezza sul lavoro
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I sindacati sono fermi alla rivoluzione industriale. La loro logica ignora qualsiasi evoluzione delle dinamiche lavorative ed è ancora schiacciata sulla contrapposizione tra dipendente schiavizzato e padrone approfittatore. Questo accade anche quando il datore di lavoro è lo Stato, e quindi il cliente è la collettività, concetto caro a Cgil e compagni. Inevitabile che, ragionando come nel secolo scorso, Landini e i suoi colleghi cadano spesso in contraddizione con le loro stesse idee e non riescano a calare le loro rivendicazioni nella realtà. Spesso, non solo non sanno come difendere i lavoratori, ma non sanno neppure quali lavoratori difendere, perché la società si è complicata e il nemico talvolta può anche essere il collega. Il green pass è solo l'ultima cartina di tornasole del disagio del mondo sindacale con la realtà produttiva. Recenti casi di cronaca, con decessi particolarmente mediatici perché le vittime erano giovani madri o padri venuti qui dall'altra parte del mondo in cerca di fortuna, hanno riportato d'attualità il tema dei morti sul lavoro. Una piaga della nostra società i cui numeri in realtà sono in lenta ma costante diminuzione e che non registra, in questo momento, un picco. Questo non ha impedito, se vogliamo anche giustamente, a Landini di chiedere una stretta sulle norme per la sicurezza sul lavoro e maggiori controlli sul loro rispetto. Rivendicazioni doverose, ma facili e consuete, perché costano niente, essendo tutto a carico delle imprese. La pandemia però chiede ai sindacati un cambio di passo.
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Se, come ha detto il premier Draghi, non vaccinarsi può voler dire morire o uccidere, entrare in fabbrica o in ufficio senza il green pass può costare la vita al vicino di scrivania. Gli industriali hanno proposto di sospendere da lavoro e stipendio chi non hail passaporto sanitario, ma i sindacati si sono messi di traverso, privilegiando il diritto alla busta paga di pochi non immunizzati per scelta sul diritto alla salute di tanti vaccinati costretti a esporsi al rischio da decisioni altrui. Barricate anche sul divieto per chi è privo di lasciapassare di accedere alla mensa, visto che già non può entrare in bar e ristoranti. E anche qui la paura di discriminare chi ha deciso sua sponte di fare diversamente è stata più forte della paura di mettere a rischio la produzione diffondendo il virus. Incomprensibilmente sensibili alle esigenze degli obiettori del vaccino quanto indifferenti a quelle di chi dà retta al governo, i sindacati non sanno che pesci pigliare.
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Tentano lo spariglio pretendendo che l'esecutivo, per cavarli di imbarazzo, renda obbligatoria per legge la profilassi, quando sarebbe più logico battersi, per esempio, per un tampone bisettimanale a prezzi popolari per i lavoratori non immunizzati. Ma poi, anche sull'obbligo di vaccino, la Cgil e gli altri parlano con lingua biforcuta. L'imposizione c'è per il personale scolastico, e sono duecentomila quelli che ancora non la rispettano. Con queste premesse è facile immaginare che, tra un mese, quando si tornerà in classe, si affileranno i coltelli e sarà il caos. Il governo ha previsto che, dopo cinque giorni, i prof non immunizzati vengano sospesi senza stipendio, però non ha dato ancora l'elenco dei vaccinati ai presidi, chiamati a far rispettare la norma, peraltro facilmente aggirabile con certificati medici di malattia redatti come costume da dottori compiacenti, magari anche no vax. Draghi avrà davvero cambiato, e salvato, l'Italia, quando vedremo il primo insegnante non immunizzato a casa senza paga, eventualità sulla quale al momento non ci sentiamo di scommettere. Per adesso, la vicenda ha solo confermato che la sicurezza del lavoro interessa ai sindacati per comandare e dettare le regole in azienda, ma quando essa è demandata, anche solo in parte, agli iscritti alla confederazione e ai loro protetti, diventa un impiccio. Ieri sono stati fatti controlli sulla sicurezza in decine di aziende, e non una è stata trovata perfettamente in regola. La sensazione è che la responsabilità sia delle imprese, vessate da un numero di norme e richieste tale da garantirne la non attuazione, solo in pochi casi. E in molti sia invece dei sindacati, che in azienda si preoccupano di tutto tranne di quel che serve, alle imprese e ai lavoratori. Il green pass in fabbrica o in ufficio tutela chi sgobba, non chi sta ai piani alti a dirigere.
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