Unicredit-Mps? Giuliano Zulin: meglio svendere, dobbiamo evitare una nuova Alitalia
I partiti si sono tutti messi di traverso per ostacolare la probabile fusione tra Unicredit e Mps. Si agitano perché non vogliono esuberi, si ergono a difensori dell'istituto più vecchio del mondo (forse), si battono contro "regali" alla banca milanese. Dov'erano però in questi anni? Nel 2016, dopo le dimissioni di Renzi, nacque in un fine settimana il governo Gentiloni proprio per varare il decreto salva-banche, che permise il salvataggio - a carico nostro - del Monte. Valeva una ventina di miliardi.
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Il ministro dell'Economia era Pier Carlo Padoan, attuale presidente di Unicredit. Conflitto d'interessi? Macché, per quelli di sinistra non esiste mai, loro sono puri. Con quei 20 miliardi inizialmente si salvarono Popolare Vicenza e Veneto Banca, che finirono a Intesa, aiutata appunto con denari pubblici. Il ministero dell'Economia invece è rimasto primo azionista di Siena, senza riuscire a risollevarla. Per dire: il Tesoro ha in carico le azioni a 7 euro, ora valgono 1,2. Male. Talmente male che recentemente gli enti di controlli europei hanno stabilito che Mps, in caso di ulteriori avversità, fallirebbe, la peggiore banca continentale.
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In più la Ue preme affinché lo Stato esca da Mps e le proroghe sono terminate. È finita la pacchia. E allora meglio svendere Mps a Unicredit che tenerla così com'è. L'operazione costa al Tesoro fino a 10 miliardi. Ma almeno sarebbero gli ultimi che ci tocca tirar fuori. Se Siena rimanesse autonoma, fra due anni toccherebbe sborsare altri miliardi. Insomma, un'altra Alitalia. Vogliamo questo? Anche no.