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Giuseppe De Donno, Pietro Senaldi durissimo contro Selvaggia Lucarelli: perché il suo è vilipendio di cadavere

Pietro Senaldi
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«Non fate pettegolezzi», lasciò scritto Cesare Pavese prima di togliersi la vita. E sono più di settant' anni che l'Italia rispetta il desiderio del suo grande scrittore. «Non fate gli sciacalli», avrebbe fatto bene ad annotare il dottor Giuseppe De Donno prima di impiccarsi in casa sua. Ma non so se questo sarebbe servito a evitargli gli insulti vigliacchi che gli sono piovuti contro dopo la notizia della sua morte. Una violenza di rara ingenerosità, un vilipendio di cadavere; anzi peggio, perché non ci si è accaniti solo sul corpo del defunto ma anche sulla sua anima, il suo intelletto, il suo valore. Il dottore era salito agli onori delle cronache l'anno scorso, per aver sponsorizzato la cura al Covid tramite trasfusioni di sangue infetto, opportunamente trattato, dai malati. Una sorta di vaccino che era stato sperimentato dal San Matteo di Pavia e De Donno aveva mutuato e rivisto in quel di Mantova, dove lavorava. La cura ha avuto successo mediatico ma non scientifico. È stata accantonata, come tante altre, forse frettolosamente visto che oggi scienziati come il professor Galli riconoscono che, almeno sui malati lievi, aveva una certa efficacia.

 

Cure dimenticate
Non è il solo medico, De Donno, a essersi scontrato con i paletti e la visione autoreferenziale e autoritaria del ministero della Salute gestito da Roberto Speranza. Lo stesso Giuseppe Remuzzi, dell'Istituto Farmacologico Mario Negri di Milano, a novembre scorso aveva elaborato una terapia anti-virus che consentiva la cura da casa anche in situazioni piuttosto gravi, sconsigliando l'uso della tachipirina a vantaggio dell'Aulin, ma il ministero non gliel'ha mai avallata. Fatto sta che l'accantonamento del suo metodo come terapia aveva turbato De Donno, tanto da spingerlo a lasciare l'incarico ospedaliero per dedicarsi alla professione di medico di base. Poiché neppure gli scienziati sembrano ancora capirci davvero qualcosa sul Covid, su come curarlo e sull'efficacia dei vaccini, noi ci asteniamo dal giudizio sul protocollo di trasfusione di plasma propagandato dal medico mantovano. Altrettanto però non fanno in molti. Come su tutto quello che riguarda il Covid, anche su De Donno, l'Italia di chi non sa nulla di virus si è divisa. L'hanno ammazzato lasciandolo solo perché aveva trovato un modo di immunizzare le persone senza arricchire le case farmaceutiche, sostengono i paladini del dottore. No, era un ciarlatano, replicano i suoi detrattori.

 

Leoni da tastiera
Finché la rissa si limita ai cosiddetti webeti, i leoni da tastiera che vogliono raddrizzare l'Italia via computer ma più digitano e più stortano loro stessi, poco male. Quello che è fastidioso è quando alcuni nostri colleghi salgono in cattedra per sputare sentenze senza nessun rispetto del cadavere ancora caldo. Così, la regina della rete Selvaggia Lucarelli, fatta salva la premessa ipocrita nella quale specifica che «il suicidio di un uomo è comunque un evento tragico» maramaldeggia sull'uomo morto dandogli del truffatore che creava false notizie per avere ragione e faceva comunella con i complottisti per screditare le aziende farmaceutiche. Non paga, lo riprende per aver osato insultare Burioni, il raffinato scienziato che definisce "sorcio" chi non si vaccina e, dall'alto della sua laurea in giuria di ballo e scassamento di maroni al prossimo, boccia la terapia sotto l'aspetto scientifico. Non se ne sentiva il bisogno. Probabilmente De Donno si è impiccato perché, giuste o sbagliate, credeva troppo nelle sue idee. E qui sta la differenza tra lui e chi lo critica con ripugnante leggerezza.

 

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