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Mario Draghi, prima le toghe e poi la giustizia. Pietro Senaldi: così i partiti lo costringono a cambiare agenda

Pietro Senaldi
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Bisogna spiegare al virus che i tempi della sua diffusione non sono compatibili con quelli della politica italiana e delle sue pirotecniche mediazioni. Eterno capitolo giustizia. La riforma Cartabia doveva essere approvata entro il 31 luglio ma è di fatto impossibile. Oggi è previsto il consiglio dei ministri ma non ce ne si occuperà, anche se è l'argomento di maggior contrasto tra i politici. I grillini insistono per cambiarla, e salvare così nella sostanza l'abolizione della prescrizione, prevista dall'ex Guardasigilli Bonafede. I berlusconiani hanno provato a inserire altri emendamenti, ma sono stati respinti con perdite per l'opposizione di M5S e Pd, ma anche per il fuoco amico di Coraggio Italia. La Lega erige barricate in difesa della legge Cartabia ed è disposta a correzioni minime tendenti al nullo. Nel frattempo la palla rotola, quasi che dall'approvazione della riforma non dipendesse l'arrivo di 25 miliardi dall'Europa, la prima fetta degli aiuti del Recovery. Draghi è irritato. Ha posto la fiducia sulla norma ma non si sa quando sarà votata. Il governo sta lavorando a un maxiemendamento che raccolga le eccezioni di M5S e degli altri, le rielabori e le presenti poi all'Aula senza possibilità di correzioni: farsela andare bene, o far cadere il governo. Ma è possibile che il premier decida una linea ancora più dura e porti all'approvazione delle Camere la Cartabia com' è ora, senza la minima mutazione.

 

 

Bene così, non fosse che, a conferma dell'apertura di Libero di ieri, che descriveva un governo a rischio di impantanarsi nella palude dei partiti, SuperMario ha fatto slittare la discussione sul nuovo decreto che dovrebbe allargare l'ambito di applicazione del green pass, prima ancora che entri in vigore quello vecchio, il 6 agosto. Prima risolvo la grana giustizia, così arriva la grana dall'Europa, ha esplicitato il premier. Non resta che comunicarlo al Covid, per chiedergli se può mettere in ferie la variante Delta fino a quando il governo non può metterci la testa sopra, dopo aver rabbonito Conte e compagnia. Il non detto infatti è che il punto di caduta sulla giustizia possa condizionare il decreto sulla certificazione verde, nel classico gioco romano dei contrappesi, delle trattative e delle reciproche concessioni. Una melassa dalla quale il premier può sottrarsi solo con la forza, che però va dosata, per evitare l'effetto elefante nella cristalleria.

 

 

Prima dunque il braccio di ferro con i partiti sulla giustizia, quindi quello sulle misure anti-Covid. È pazzesco ma è così, e forse non può essere diversamente, anche se è conseguente chiedere ai nostri parlamentari con che faccia pretendano dai cittadini il senso di responsabilità che a loro difetta. Tra poco più di un mese riprenderanno le scuole e le città si ripopoleranno. Il tempo è poco considerando che il 15% dei professori e il 30% abbondante dei lavoratori non è immunizzato. Il governo deve regolare il tema trasporti e scuola, estendendo il green pass. Se dà un contentino alla Lega sulla giustizia, poi può scontentarla sulla certificazione verde, è il calcolo politico. Peccato ci sia da sventare il ritorno di una pandemia e che questa sia la ragione sociale dell'esecutivo Draghi. Dio non voglia che il governo sia costretto a mediare ogni quindici giorni sulle misure anti-Covid da applicare, riducendosi a inseguire il virus anziché prevenirlo, come il peggior Conte.

 

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