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Dittatura sanitaria? Una forzatura, ma le limitazioni ci sono: perché in questo dibattito anche la cultura si è ammalata

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Corrado Ocone
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Non c'è bisogno di scomodare un autore marxista alla moda come Slavoj Zizek per dire che questi che stiamo vivendo sono «anni interessanti». Lo sono per tutti ma soprattutto per gli intellettuali che, sollecitati dalle rapide trasformazioni del mondo e della nostra stessa quotidianità, avrebbero di che riflettere, apportando il loro contributo qualificato alla conversazione pubblica che è propria delle società aperte. L'impressione è invece che essi abbiano abdicato al loro compito, e si siano fatti partigiani e politici prima che uomini di cultura. Tanto che il loro stesso contributo è diventato inessenziale e non è più richiesto come un tempo dalla società, e, in verità, nemmeno da parte della politica. Il Covid, come è noto, ha accelerato i processi sociali in atto. 

Ma ha anche accelerato la faziosità della classe colta, la quale, invece che elevare il dibattito, ha certificato con la sua (spesso presunta) autorevolezza il predominio di un pensiero povero, semplificato, prevedibile, non di rado fatto di slogan di impatto mediatico forse ma di nessuna incidenza nei processi di lungo corso. Prendiamo il caso del green pass: si può essere convinti o scettici sulla sua introduzione, ma è indubbio che esso crea qualche non indifferente problema in termini di libertà individuale. E trasforma più in generale la qualità delle nostre democrazie, il modo in cui si sono sviluppati i sistemi politici che della libertà di circolazione, di riunione, e anche di libera proprietà del proprio corpo (habeas corpus), si sono fatti vanto rispetto ai regimi di "sorveglianza" e allo scarso rispetto per la privacy degli stati totalitari.

Le stesse istituzioni dello Stato di diritto sono sottoposte a uno stress test mai visto prima e da cui non sappiamo come ne usciranno. È vero, anche la libertà individuale può essere sospesa in alcune circostanze, ma cosa accade quando lo "stato di eccezione" tende a protrarsi indefinitamente, come con la pandemia sta accadendo? Si può non considerare il fatto che l'"ultimo sforzo" che ci viene richiesto per tornare alla "vita normale" finisce per non essere mai l'ultimo? Anche fra gli intellettuali il discorso sembra essersi polarizzato fra chi invoca misure draconiane in vista del raggiungimento di un impossibile "rischio zero", costruendo sofismi che in sostanza fanno coincidere la libertà con il suo contrario pur di dare addosso agli odiati "sovranisti" (un vero sacrificium intellectus da vecchi teologi medievali); e chi, dall'altra parte, parla di "dittatura sanitaria" in cui non si capisce ove sia echi il "dittatore" (Speranza? Mattarella? Forse lo stesso Draghi?). 

Pensatori che molto avrebbero da dire, anche a sinistra, nella direzione di un pensiero non banale sul tema del rapporto paura-politica-immunità, casomai perché vi hanno riflettuto tempi (penso a un Roberto Esposito), tacciono e sono del tutto assenti dal dibattito. Che è invece dominato da sermoni moralistici, che nulla aggiungono a un discorso che resta appunto terra terra. Ora che il predominante intellettuale di sinistra sia figlio di quello "organico" di gramsciana memoria, è un dato di fatto. Che però la cultura di destra, o semplicemente non allineata, riproduca, seppur col segno cambiato, gli stessi stilemi (manicheismo, faziosità, ideologismo, semplificazione estrema e quindi banalizzazione delle questioni), non fa spostare di un millimetro il discorso. 

Un compito per gli uomini di cultura della nostra parte politica? Provare a spiazzare con un colpo laterale questo gioco a somma zero. Ad esempio, ragionando con serietà sul green pass: per dare argomenti e sostanza alle intuizioni "liberali" dei suoi leader; per scalfire la sicurezza sprezzante di chi crede, soprattutto a sinistra, di aver trovato nell'introduzione di un dispositivo tanto invasivo il grimaldello per realizzare finalmente la da tutti auspicata vaccinazione di massa.

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