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Enrico Letta candidato Pd a Siena? "Numeri alla mano, perché rischia la batosta"

Fausto Carioti
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C'è già un primo effetto della candidatura di Enrico Letta alle elezioni suppletive per il collegio di Siena, e non è positivo per Mario Draghi: il segretario del Pd si è riavvicinato a Giuseppe Conte, determinato a complicare la vita al governo sulla riforma della giustizia, l'ecologia e gli altri temi "identitari" del M5S. Letta, infatti, ora ha un gran bisogno dei Cinque Stelle. In quel collegio, il 4 marzo del 2018, Pier Carlo Padoan fu eletto deputato con il 36,2% dei voti, a poca distanza dal leghista Claudio Borghi (32,3%). Il capo del Nazareno dovrà vedersela invece con l'imprenditore del vino Tommaso Marrocchesi Marzi, che ieri lo ha punto: «Il partito gli sta sfuggendo da tutte le parti e lui sa che la situazione è contendibile». Vero. Letta parte favorito, ma anche a Siena il centrodestra è cresciuto. E lui può solo vincere, dopo aver detto che «se perdo ne trarrò le conseguenze». Molto dipenderà da ciò che faranno gli altri. Letta ha detto di voler «allargare il quadro politico», ossia mettere insieme tutti gli avversari di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ma non ci riuscirà. Lui stesso non pare illudersi sull'appoggio di Italia Viva, che sotto la torre del Mangia ha buoni numeri. Del resto, lo stato dei rapporti tra lui e Matteo Renzi è noto. Ettore Rosato, vicepresidente della Camera e plenipotenziario di Iv, la mette così: «Noi, a Siena, abbiamo una nostra candidata pronta, come abbiamo un candidato a Roma Primavalle, dove pure si voterà. Per raggiungere intese occorre trovare modalità di dialogo capaci di produrre accordi vantaggiosi per tutti. Quindi bisogna che si discuta con noi su Siena e su Primavalle». Tradotto: i renziani non regaleranno nulla e hanno già scelto chi potrebbe togliere voti a Letta. Quanto a Leu, è abituato a presentare propri candidati e potrebbe farlo anche stavolta. In ogni caso, serve di più. Diventa dunque necessaria l'intesa coi Cinque Stelle, che peraltro di alleanze con Italia viva non vogliono sentir parlare. Nel 2018 in quel collegio presero il 22,4%, ma oggi il loro valore è di gran lunga più basso. Pure pochi elettori, comunque, potrebbero fare la differenza. Letta vuole quindi correre con l'appoggio del M5S, rendendo il favore a Primavalle, dove tre anni fa aveva vinto una grillina (e chissà se Conte ci ripensa e si tuffa pure lui). Ma per rendere possibile una simile operazione, e risultare appetibile agli elettori del movimento, Letta deve diventare un po' grillino. Così ha cambiato idea sulla riforma della giustizia firmata da Marta Cartabia: prima andava benissimo («siamo molto soddisfatti»), ora dice a Repubblica che «il parlamento ha il diritto, direi il dovere, di contribuire a migliorarla». Parole che aprono le porte a un'intesa, quantomeno parziale, con Conte, Alfonso Bonafede e gli altri pentastellati. Insieme, Pd e M5S hanno già dato una botta al ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani: grazie a un blitz in commissione, gli hanno sfilato un po' dei poteri per l'approvazione delle grandi opere previste nel Piano di ripresa, trasferendoli al parlamento. Cingolani l'ha presa malissimo e di certo Draghi non ha apprezzato. Promette di essere solo l'inizio. 

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